L’AQUILA – Per la ricostruzione post sisma del 6 aprile 2009, la relazione della Direzione Nazionale Antimafia ritiene che “nel giro degli appalti e subappalti per la ricostruzione la camorra appare più invasiva delle altre associazioni criminali di stampo mafioso”. Da parte della Dna si tratta di un vero allarme: “Da una prima ricognizione della situazione, attraverso l’esame della copiosa documentazione fatta pervenire dalla locale Prefettura alla Procura dell’Aquila ed alla Dna e da quanto hanno trasmesso gli uffici di alcune Procure Distrettuali, essa è apparsa subito di estrema gravità per quanto riguarda le infiltrazioni mafiose nel tessuto della ricostruzione. La lotta alla criminalità organizzata è ripresa con vigore dopo il sisma del 6 aprile 2009. Lo conferma la relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia. Nella relazione – curata dal magistrato Olga Capasso – si spiega che il terremoto ha ostacolato la normale ripresa della attività di contrasto e che “le criminalità organizzate” sono state “le prime a riprendere fiato. E’ ripreso il mercato della droga, lo sfruttamento sessuale delle immigrate clandestine ed i soliti episodi di corruzione, le solite rapine, le solite richieste usurarie”. Solo dopo qualche mese “con grande fatica ed abnegazione di tutti, le cose hanno cominciato a riprendere il loro corso normale”, scrive la Capasso. La relazione fa poi uno scenario della presenza mafiosa in Abruzzo e disegna le aree di influenza della criminalità, raggruppabili in tre fasce: a) la zona costiera, con le Province di Pescara, Chieti e Teramo, la quale con lo sviluppo dell’edilizia, dell’industria e del commercio si presta ad operazioni di riciclaggio; b) la Marsica, con le città di Avezzano, Carsoli e Tagliacozzo, caratterizzata da una forte presenza di extracomunitari e quindi zona adatta alla commissione di reati di immigrazione clandestina e di sfruttamento della manodopera irregolare (specialmente da parte di cittadini cinesi ); c) l’Alto Sangro e la Valle Peligna con la città di Sulmona, dove si registrano presenze di personaggi legati alla camorra interessati all’acquisto di immobili ed attività commerciali soprattutto nel settore turistico ed alberghiero”. Da parte dei magistrati dell’antimafia si sottolinea anche la difficoltà di lavorare dopo il terremoto, con l’inevitabile lacerazione logistica degli uffici piuttosto che di ordine personale, che hanno causato ritardi e problemi investigativi. Ecco che “la situazione si aggrava con il passaggio dal 2010 alla fase della ricostruzione dopo quella dell’emergenza, perché ora – si legge nella relazione della DDA – gli appalti vengono gestiti dal Commissario del Governo, nella persona del Presidente della Regione Abruzzo, o dai privati direttamente, con obbligo di informarne il Comune di residenza per ottenere le sovvenzioni previste dalla legge – scrive il relatore Olga Capasso -. A loro volta i Comuni debbono informare la Prefettura perché acquisisca dalle Prefetture competenti la certificazione antimafia, cosa che avviene con notevole ritardo e spesso a lavori già iniziati. Di tutto questo si è parlato nelle diverse riunioni del Comitato di Sicurezza, a cui ha partecipato il Procuratore Nazionale rappresentato a volte da suoi Sostituti”. “Il problema più grave – si afferma nella relazione – è quello di accertare se, con il sistema delle compartecipazioni, delle cariche sociali, dei raggruppamenti provvisori, dei subappalti e dei noli, e quindi in un vero e proprio sistema di scatole cinesi, imprese apparentemente “pulite” non finiscano per arricchire società e personaggi legati alla mafia che in un modo o nell’altro le controllano”.

Un dato inquietante”, secondo quanto si legge nella relazione della Dna riguardo alla infiltrazione mafiosa negli appalti post sisma in Abruzzo “é emerso dall’esame approfondito delle società collegate alla criminalità organizzata che hanno vinto gli appalti o ottenuto subappalti, autorizzati o meno”. “Dai vari intrecci societari e raggruppamenti costituitisi per aggiudicarsi i lavori in Abruzzo (progetto C.A.S.E.) – scrive il magistrato Olga Capasso – si è potuto constatare che le diverse organizzazioni criminali non sembra si siano spartiti i singoli affari, ma compaiono, attraverso un gioco ad incastro, cointeressate allo stesso lavoro. A titolo di esempio – prosegue la Dna – una di queste società risulta consociata con altra società attraverso la quale, risalendo la catena di imprese partecipate, si arriva alla ‘Ndrangheta, alla Sacra Corona Unita e al mandamento di San Lorenzo di Cosa Nostra. Se la societa’ in questione non fosse stata estromessa dai lavori in Abruzzo, i relativi guadagni sarebbero stati suddivisi tra criminalità di diverse origini, ma unite nel momento di raccogliere i frutti dei loro affari”. Il lavoro di contrasto, però, sta pagando – prosegue la relazione – “gli sforzi comuni hanno tuttavia sortito un qualche effetto, perché alcune imprese sono state dichiarate decadute. E’ il caso di un’ATI per contiguità a Cosa Nostra. E’ stata eliminata anche una società il cui titolare risulta socio insieme a due esponenti del clan dei Casalesi in un’altra società”, chiude la Capasso. Parimenti è stata revocata la certificazione antimafia dalla Prefettura di Roma ad una società i cui amministratori, formalmente e di fatto, sono stati arrestati per associazione mafiosa insieme ad altri componenti del clan Emanuello del nisseno. “Oggi che la fase emergenziale è finita” conclude il magistrato Olga Capasso che ha stilato la relazione 2010 per la Direzione Nazionale Antimafia “e gli appalti vengono gestiti dalla Regione – che finora ne ha aggiudicato solo uno, quello per la ricostruzione del palazzo di giustizia i cui lavori non sono ancora iniziati – è auspicabile da parte dello Stato un controllo idoneo ad arginare il flusso di imprese colluse con organizzazioni criminali che si faranno avanti. Anche perché i lavori più lucrosi devono ancora iniziare e L’Aquila non sarà più sotto la luce dei riflettori come è stato fino ad oggi”. “Per questo ci sarà ancora da lavorare per anni, sempre che la cronica mancanza di denaro pubblico non impedisca la ricostruzione stessa”, puntualizza.

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Registrazione Tribunale dell’Aquila n.560 del 24/11/2006 – PI 01717150666

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