L’AQUILA – Il fine di questo articolo è sollecitare altre testimonianze su pretestuosi ostacoli a iniziative imprenditoriali in un’area devastata dal terremoto e con alta disoccupazione specie giovanile, e di prospettare dei modi semplici di rimediare a constatati abusi e inefficienze burocratici. Per non restare nel generico, farò nomi e cognomi. Il riferimento è all’apertura di un locale, pub e bed & breakfast, di nome La Castella, gestito da una giovane, Fusari Lucia, in Capolavilla di Tornimparte. Mi limiterò a riferire due episodi.
Primo episodio: richiesta di erogazione dell’energia elettrica. Il dipendente ENEL che aveva in carico la pratica, sig. Giovanni Rosa, disse che nel migliore dei casi il collegamento alla rete avrebbe potuto aver luogo verso l’inizio di Febbraio; il suo superiore Cesi adduceva non precisate ‘insindacabili’ ragioni tecniche di complessità a giustificazione dei tempi lunghi. Tali tempi immotivati avrebbero costretto il locale a saltare la stagione invernale, con notevoli perdite. Dopo lunghe discussioni, riuscii a strappare l’autorizzazione a eseguire direttamente i lavori, dietro assunzione delle connesse responsabilità e l’impegno a seguire le prescrizioni tecniche dell’ENEL. In una mattinata, feci eseguire l’opera ‘complessa’. Nei giorni successivi giunse la bolletta, con l’intimazione a pagare circa 2000 euro per l’allaccio, cioè l’intero ammontare del preventivo iniziale: un furto sostanziale dato che l’opera di scavo e canalizzazione era stata eseguita dall’utente in luogo dell’ENEL, per una spesa di oltre 1000 euro. Per chiarimenti, mi fu consigliato di chiedere udienza al capo zona, ing. Gianfranco Urbanelli, negli uffici di Campo di Pile, non aperti al pubblico ma con accesso tollerato. Le molte stanze sono sempre quasi del tutto vuote. Dopo ripetuti tentativi e lunghe attese, riuscii a incontrare l’ing. Urbanelli. Questi affermò subito che, eseguendo io stesso le opere, avevo commesso un grave abuso. Alla risposta che avevo avuto autorizzazione scritta, convocò il sig. Rosa per rimproverargli tale concessione. L’ingegnere capo zona ci teneva a sottolineare che l’ENEL, ente privatizzato, ha interesse ad eseguire gli allacci il più rapidamente possibile per poter vendere energia, aggiungendo che i dipendenti dell’ente ricevono incentivi calibrati sul raggiungimento di obbiettivi prefissati. Osservai che, se l’ENEL avesse tale interesse, dovrebbe dare un premio al cittadino che accelera i lavori a suo carico e responsabilità, anziché imputargli un abuso per aver rimediato alle lentezze dell’ENEL e addossargli due volte il costo dei lavori eseguiti. Capii che le constatate disfunzioni operative ed i ritardi discendono dall’alto. L’ENEL preferisce servirsi di imprese clienti e parallelamente eroga al suo personale, per i lavori effettuati con molto ritardo rispetto ai tempi necessari, incentivi pagati con facili proventi: il costo dell’allaccio è 3 volte maggiore di quello alla rete del gas e 10 volte di quello alla rete idrica. Chiesi cosa sarebbe accaduto se avessi rifiutato di pagare il balzello. Risposta dell’ingegnere: “sarà tagliata la fornitura di energia”; cosa che un locale non può permettersi. Conclusione: pagare e subire l’arroganza e le inefficienze di un monopolio che si vanta di agire in regime di privatizzazione. Mi consta che l’ENEL è di notevole intralcio anche nei confronti dell’esecuzione di opere pubbliche bisognose di suoi interventi.
Altro episodio. Per realizzare il locale, era stato concordato l’acquisto di un terreno su cui già insisteva un progetto di costruzione di un locale simile. Tale progetto era stato approvato in commissione edilizia anche da un’architetta poi divenuta capo precario dell’ufficio tecnico comunale di Tornimparte. Costei rifiutò di autorizzare la prosecuzione del progetto, adducendo uno scambio di pareri con tecnici della Provincia. Decisi di rimediare chiedendo all’ufficio tecnico del comune il cambio di destinazione ad uso commerciale della quota consentita di un ampio fabbricato residenziale. Il progettista incaricato riferiva che il capo dell’ufficio tecnico si sarebbe espresso ad esecuzione avanzata della trasformazione. Ma le opere in tal modo eseguite avrebbero configurato un abuso e la precedente esperienza suggeriva che ciò avrebbe costituito pretesto per costringere il richiedente a tenersi il residenziale, impedendo per una seconda volta a Fusari Lucia di aprire il locale. Si prospettava la necessità di ricorrere alle vie legali, con tempi assai lunghi e, come è tipico dei procedimenti giudiziari, esito incerto. Per fortuna, il capo precario dell’ufficio tecnico non vinse il concorso di stabilizzazione; la vincitrice, nel giro di 15 giorni, autorizzò il cambio di destinazione d’uso. Più in là, l’attuale responsabile dell’ufficio tecnico ha avuto la sensibilità di accelerare moltissimo i tempi di apertura, approvando l’agibilità del locale in 5 giorni. Ma avrebbe potuto prendersene 60 e, dopo 59 giorni, formulare delle obiezioni che avrebbero prolungato i tempi.
Suggerimenti. I citati arbitri e inefficienze burocratico-monopolistici, capaci di scoraggiare o stroncare le iniziative imprenditoriali, potrebbero essere facilmente evitati. Basterebbe consentire al cittadino di realizzare le proprie iniziative assumendosene la responsabilità e sottoponendo le opere eseguite ai debiti controlli, come avviene con la cosiddetta SCIA che consente a varie attività di spostare i controlli a dopo l’apertura, pena le debite sanzioni per la eventuale violazione di norme e prescrizioni igienico-sanitarie o altro e l’obbligo di rimediare alle violazioni. Occorrono, inoltre, leggi che colpiscano duramente e con rapidità funzionari pubblici responsabili di gravi e immotivati ritardi e ostruzionismi.
Mi scuso per omissioni dovute a ragioni di spazio e invito le persone citate a formulare obiezioni.
Angelo Fusari