L’AQUILA – Al di là degli aspetti controversi della (non) temporanea realizzazione dell’auditorium di Renzo Piano, mi sembra che l’intera operazione sia la cartina di tornasole dell’incapacità, prima culturale che politica, dei nostri amministratori di comprendere alcuni dei passaggi fondamentali della ricostruzione.
L’opera poteva e doveva essere vissuta dalla popolazione come il primo simbolo della rinascita, una struttura dedicata alla cultura e progettata da uno dei maggiori architetti del mondo.
Un nuovo elemento identitario per una città che deve rifondarsi, un elemento di coesione comunitaria, fattore indispensabile per la ricostruzione dei nostri territori.
L’occasione giusta insomma per aprire un confronto cittadino e riflettere insieme su come ricostruire e come reinventare la città: il suo significato dopo il trauma, la sua cultura, la sua economia e il suo posto nel mondo.
E anche un modo per confrontarci su innesti ragionati di architettura contemporanea nel tessuto storico. Nella ricostruzione dei nostri centri infatti non mancheranno nei prossimi anni casi simili.
Questo tipo di operazioni hanno da sempre aperto dibattiti internazionali anche aspri: dal Centre Pompidou dello stesso Renzo Piano nel centro di Parigi al Museo di arte contemporanea (MACBA) nel cuore di Barcellona.
Si doveva quindi stimolare per tempo una sincera stagione di partecipazione aperta a tutti i cittadini, in cui potersi confrontare su questi temi.
Dare il tempo a tutti di metabolizzare e, eventualmente, modificare le scelte, inserirle in un contesto di pianificazione generale del territorio, magari con la partecipazione dello stesso Renzo Piano.
Un dibattito che doveva avere risonanza nazionale per dimostrare l’esistenza di una comunità aperta al confronto e per far parlare della nostra città, almeno per una volta, in termini progettuali.
L’occasione per elevare il dibattito cittadino dalla rissa al ragionamento, in cui si potesse iniziare a costruire una visione riconoscibile e condivisa del nostro futuro per tornare a guardare con fiducia a noi stessi e alla rifondazione della città.
Invece nulla di tutto ciò, anzi tutto il contrario: una scelta di forte impatto, non solo ambientale ma anche culturale, calata dall’alto inevitabilmente produce spaccature e impoverisce il livello del confronto. Proprio quello che non serve.
L’ennesima occasione persa: del resto capire il valore determinante della partecipazione e mettere al centro il coinvolgimento della popolazione come fattore indispensabile per la ricostruzione è un’attitudine politica e un atteggiamento culturale lontani dalla nostra attuale classe politica. E non ci sono regolamenti della partecipazione che tengano. Peccato.
Ettore Di Cesare, candidato Sindaco coalizione liste civiche “Appello per L’Aquila”