L’AQUILA – Fiumi e montagne sono stati da sempre riferimento per la divisione amministrativa tra stati e regioni, luoghi da difendere o conquistare su sponde e versanti opposti.
Quello che proponiamo è oggi un cambio di strategia, una innovativa operazione politica, amministrativa, culturale ed ecologica, l’occasione anche per modificare i confini amministrativi delle province e delle regioni anche sulla base dei bacini idrografici.
Nell’attuale divisione amministrativa dell’Italia, i fiumi e i bacini idrografici sono frazionati fra regioni e province vicine, ciascuna delle quali può condurre una politica economico-ambientale differente, al punto che certe attività possono essere vietate su una riva di un fiume e permesse sull’altra riva se questa è “sotto” un’altra regione.
Nel 1989 fu emanata una legge di difesa del suolo e delle acque che prevedeva che le attività nell’ambito di ciascun “bacino idrografico”, anche se esso si estendeva nel territorio di differenti regioni o province, dovessero essere gestite da speciali “Autorità di Bacino” che avrebbero dovuto coordinare le iniziative e pianificare gli interventi e le spese, costringendo le regioni a decidere insieme. La legge, però, ha funzionato solo in parte e limitatamente agli interventi straordinari di difesa del suolo; la diffusione di una “cultura” di bacino idrografico, di una solidarietà fra gli abitanti di ciascun bacino, indipendentemente dalla regione di appartenenza, si è sempre scontrata con interessi politici e amministrativi locali.
La scelta di rivedere i territori provinciali e magari quelli regionali dovrebbe essere, invece, accompagnata dalla piena funzionalità dei “bacini idrografici” rappresentati dai fiumi e delle “catene montuose”.
Oggi fiumi e montagne, che sono visti come “spartiacque”, punti divisione tra territori e popolazioni, andrebbero intesi invece come elementi di unione fra terre vicine, culture e attività socio economiche che fanno riferimento ad un territorio omogeneo.
Nella suddivisione e riaggregazione delle varie province e delle regioni i nuovi confini potrebbero coincidere con quelli dei bacini idrografici e dei massicci montuosi.
E’ un po’ quello che già avviene con i Parchi nazionali che coprono territori omogeni da un punto di vista ambientale e morfologico pur insistendo su regioni e province differenti.
Ad esempio in Abruzzo le province potrebbero “compensare” i propri territori con Marche, Lazio e Molise, sulla base dei bacini idrografici dei fiumi Tronto, Sangro e Trigno, così come le due nuove province che si prospettano (Chieti-Pescara e L’Aquila-Teramo) potrebbero riferirsi, nei loro limiti territoriali al fiume Pescara ed ai massicci della Maiella e del Gran Sasso.
Si tratta di dare una valenza amministrativa al territorio, all’ambiente, alla natura più che a confini tracciati a volte senza senso su mappe e risultato di interessi localistici che cozzano con una politica di territorio che si affacci sul mercato nazionale ed europeo con una economia di scala.
E’ una proposta. Se qualcuno ci vuol riflettere ….