L’AQUILA-No, non è stato un bel vedere ciò che è avvenuto tra Massimo Cialente e i sindacalisti della Compel sotto il tendone di Piazza Duomo dove il sindaco si accingeva a presentare ai cittadini il bilancio di previsione. Non è stato un bel vedere perché i rappresentanti sindacali hanno esagerato usando parole grosse, e perché il sindaco si è fatto trascinare sul terreno della bagarre e degli insulti. Non ci siamo mai sorpresi se ciò è avvenuto durante discussioni accese, pure a livelli istituzionali. Succede in parlamento e nelle assemblee elettive, può capitare anche sotto il tendone della piazza durante una contestazione di gente esasperata. Ma a tutto c’è un limite pure se Cialente può accampare a propria scusante il fatto di essere stato aggredito verbalmente. I sindacati e gli operai non dovevano farlo. Chi è eletto primo cittadino, un minuto dopo il risultato del voto diventa il sindaco di tutti.

Cialente, tuttavia, paga ancora una volta il suo atteggiamento ondivago, perché i nodi stanno venendo  al pettine. E’ un’ambiguità che comincia a costargli cara in termini di consensi (“Non dovevamo votarti” gli ha rinfacciato uno dei sindacalisti). La gente che rischia il posto di lavoro o che lo ha già perso, comincia a rendersi conto che una cosa sono le promesse fatte sotto elezioni, e un’altra è la realtà, specie quando la crisi morde davvero.

Ecco, oggi le promesse non servono più. I cittadini chiedono soluzioni concrete a chi ha eletto per la seconda volta sindaco. E non tollera più lo scaricabarile di cui Cialente è maestro quando afferma che le colpe, le responsabilità sono sempre di altri e mai le sue. Un tempo erano di Chiodi, e in qualche caso lo sono ancora, oggi sono dei sindacati come per il concorsone o la crisi occupazionale alla Compel, domani saranno del governo per i ritardi della ricostruzione, o anche dei giornalisti “che non sanno fare il loro mestiere”. La realtà è che il sindaco si ritrova davanti persone disperate: giovani, donne, operai, padri e madri di famiglia che non hanno più lavoro neppure precario e che non vedono grandi prospettive. Gente a cui poco importa, ad esempio, dell’inaugurazione in pompa magna dell’auditorium di Renzo Piano.

 

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