L’AQUILA- Devono mettersi d’accordo Massimo Cialente, sindaco dell’Aquila, e Fabrizio Barca, ministro delegato da Monti a organizzare, dirigere e sorvegliare la ricostruzione della città e dei comuni del cratere. Il primo sostiene che il centro storico del capoluogo sarà rifatto in 40 mesi, ossia tre anni e mezzo, forse quattro. “Non facciamoci illusioni- afferma- i lavori cominceranno nel 2013 e l’esecuzione durerà al più quaranta mesi”. Sarebbe il caso di rispondere al sindaco che a tre anni e passa dal sisma, è tuttora in mezzo al guado la periferia con la metà dei cantieri che devono ancora partire. Non lo facciamo perché la risposta sarebbe scontata: “C’era Chiodi che bloccava tutto. Oggi ci siamo noi”. Ma noi chi? Lui e Barca, è ovvio,visto che tra Cialente e il ministro c’è un feeling collaudato fin dai tempi in cui il sindaco, non ancora eletto, era deputato a Roma e militava nella corrente di Mussi. Ma è lo stesso Barca a contraddire Cialente, e in maniera vistosa: “La riconquista del centro storico- dice- sarà graduale. Ci vorranno 10-12 anni per avere una percentuale di centro storico abitabile tale da garantire la vita sociale”. Chi ha ragione dei due? Il sindaco o il ministro? Cialente fa l’ottimista, ma il suo pare tanto un ottimismo di maniera. Saremo i primi a congratularci con lui se avrà avuto ragione, ma restiamo scettici. Vediamo invece che Cialente, di cui non neghiamo l’abilità di governo, continua a ripetere certi errori del passato. Come quando si ostina a tirare in ballo l’ex commissario straordinario. “Come ho sempre sostenuto- afferma- il commissario (Chiodi ndr) ha solo rallentato il processo della ricostruzione; l’imperativo, ora, è non continuare a perdere tempo”. Non commentiamo, come non vogliamo replicare a Stefania Pezzopane, l’assessora alla Cultura che accusa di “disfattismo” quanti hanno dato e danno un giudizio negativo sulla decisione di collocare il ‘cubo’ di Renzo Piano davanti alla Fortezza Spagnola. Si badi: avere parere diverso su una scelta ritenuta discutibile dell’amministrazione, non è libera espressione di un proprio pensiero, ma soltanto “disfattismo”. E sarebbero “disfattisti” tutti quegli intellettuali che hanno giudicato il luogo (non l’auditorium) inadeguato. Ecco, sono queste le affermazioni che fanno pensare. Affermazioni che somigliano tanto al tentativo di mettere il bavaglio a chi non è d’accordo con questo modo di fare che continua a dividere gli aquilani in ‘buoni’ e ‘cattivi’.
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