FARAH – Nei giorni scorsi le forze di sicurezza afgane e gli alpini del 9° reggimento che operano nella base avanzata “Tobruk” di Bala Baluk, hanno organizzato una shura (assemblea) sulla sicurezza a cui hanno partecipato oltre settanta anziani e capi villaggio della zona. Un’iniziativa che non veniva organizzata da molto tempo e che ha riscosso una buona adesione e apprezzamento da parte di coloro che rappresentano piccole comunità sparse su un vasto territorio; molti sono venuti in macchina, altri hanno voluto essere presenti raggiungendo il luogo dell’incontro anche a piedi.
La shura è una consultazione a livello locale, dove si fanno richieste e proposte, dove si ascolta e dove si prendono decisioni. E’ una parte fondamentale della vita di comunità in Afghanistan, in qualche modo è democrazia. Piccole realtà diverse tra loro con esigenze diverse, ognuno porta i propri problemi; a volte sono comuni come quello della minaccia degli insorti o quello della mancanza di scuole, altri invece riguardano solo un villaggio e le sue piccole-grandi necessità: un pozzo per estrarre l’acqua può sembrare una piccola cosa per una cittadina, ma è fondamentale nella vita di un piccolo villaggio e dei pochi abitanti che devono combattere con un terreno arido e difficile da coltivare.
La zona Bala Baluk si trova a cavallo di un tratto della Ring Road – il grande anello che percorre tutto l’Afghanistan – che da Herat a ovest scende verso la provincia di Helmand a sud. Un’area dove l’attività degli insorti è frequente, spesso indiscriminata e mette a rischio anche la vita dei civili, uomini donne e bambini, che si trovano coinvolti da esplosioni di ordigni e nel mezzo di scontri a fuoco. E’ di pochi giorni fa la notizia di un esplosione a Farah che ha coinvolto 6 bambini, uccidendone tre, mentre stavano giocando vicino a un canale dove era stato piazzato un ordigno. Alla shura si parla di sicurezza e gli anziani hanno un ruolo fondamentale nei distretti rurali. Essi rappresentano l’autorità e la gente si fida di loro. Qui sono riuniti insieme tutti i principali attori: il colonnello Zulmay, che è a capo della 2^ brigata dell’esercito afgano, il colonnello Riccardo Cristoni, che comandante la Task Force South di ISAF basata sul 9° alpini, alcuni rappresentanti della polizia e soprattutto i capi villaggio.
Colonnello Cristoni, lei ha assunto il comando della Task Force South di Farah da poche settimane, come ha vissuto questa esperienza?
Questa è la quinta volta che il reggimento è schierato in Afghanistan ed è la seconda missione di seguito a Farah, l’ultima è stata nel 2010. Ma quest’anno sarà differente da tutte le altre perché finalmente stiamo passando più autorità e responsabilità alle forze civili e militari afgane. Sono sicuro che il 9° alpini avrà un ruolo fondamentale nel processo di transizione alle forze afgane consentendo loro di assumere la guida delle operazioni e di garantire la sicurezza alla propria gente.
Per quanto riguarda la shura, devo dire che ho provato grande emozione e concentrazione. Mentre parlava il colonnello Zulmai, con cui collaboro molto spesso, ho guardato i volti degli anziani così diversi l’uno dall’altro, i loro occhi, ho cercato un contatto che fosse sul piano umano e non su quello formale, sebbene fossi in uniforme. Ho incontrato sguardi fieri, interessati, alcuni sorridevano altri erano annoiati; volti arsi dal sole afgano e da anni di guerra che lasciano segni indelebili. Man mano che li guardavo, notavo sempre più particolari e ho incominciato a notare le differenze nel vestire, nella postura, nel tenere il conta preghiere e anche nel tipo di copricapo.
Cosa ha detto loro e come lo ha detto?
Ho cercato di pormi con molto rispetto della tradizione, chiedendo il permesso di rivolgere loro alcune parole e salutandoli con il classico “salam ailekum – la pace sia con voi”. Ho spiegato le ragioni della mia presenza e di quella dei miei uomini, soprattutto del supporto che stiamo fornendo alle forze afgane, operando ogni giorno al loro fianco “shona ba shona” (spalla a spalla) per creare un ambiente più sicuro e contrastare chi si oppone ad un migliore futuro per l’Afghanistan. Noi siamo lì per la loro sicurezza e per lo sviluppo del paese. Senza sicurezza non ci può essere sviluppo, non vengono costruite infrastrutture. E’ tutto interconnesso.
Qual è la stata l’impressione che ha avuto dopo il meeting?
Innanzitutto preoccupato che le mie parole in inglese fossero state tradotte correttamente dal mio interprete e con la giusta enfasi. Una prova, quella di parlare per interposta persona, che bisogna affrontare ogni volta che si parla con la gente e le autorità locali afgane. Comunque la sensazione è stata positiva ed anche il comandante della seconda brigata mi ha ringraziato per le parole sensate e il mio approccio. Ho percepito molto interesse ma anche un po’ di scetticismo. D’altronde la fiducia non la si conquista a parole ai primi incontri, ma io e i miei alpini siamo tutti intenzionati a dimostrare con i fatti che siamo qui per aiutarli.
La Shura finisce dopo oltre 3 ore, compreso un lauto pranzo offerto dai militari italiani che hanno comprato alcune pecore per preparare i loro piatti tradizionali. Gli anziani si sono incamminati verso i rispettivi villaggi. Ora tocca a loro, devono tornare dalla loro gente e convincerli che sostenere o tollerare i talebani non è la cosa giusta da fare per il loro futuro.