L’AQUILA-“Il recente articolo comparso sul New York Times, a firma di Michael Kimmelman, traccia un quadro approssimativo della realtà del processo di ricostruzione della città dell’Aquila”. Sono le dichiarazioni del Presidente della Regione Abruzzo sull’articolo comparso recentemente sul New York Times, riportato anche dalla stampa nazionale e locale. “Su questa approssimazione pesano ovviamente le differenza di natura culturale e la difficoltà a comprendere il funzionamento del nostro sistema istituzionale troppo lontano da quello americano.
IL PROGETTO CASE FU UNA SCELTA OBBLIGATA
L’autore, infatti, fatica a comprendere come il cosiddetto progetto CASE sia stata una scelta obbligata, ma comunque di straordinario successo per l’approntamento di case temporanee sicure e confortevoli per i cittadini in attesa di vedere ricostruita la propria abitazione. Lo stesso avrebbe dovuto sottolineare come, invece, negli USA l’apparato dell’emergenza stia faticando non poco a trovare sistemazioni onorevoli ai propri cittadini. Solo qualche giorno fa si è letto sul Daily Mirror che gli abitanti della cittadina di Hiksowil sono scesi in piazza per protestare contro il governo nel dare assistenza alla popolazione sfollata, trattata a loro dire ‘come gli animali’, mentre si apprende altresì che il Ministro per la sicurezza interna, Janet Napolitano, ha annunciato la difficoltà nel reperire abitazioni idonee e camere di albergo per i senzatetto che, solo a New York, sarebbero più di quarantamila.
NON REALISTICHE LE CASE DI LEGNO NEL CENTRO STORICO AQUILANO
Kimmelman propone poi case in legno per il centro storico aquilano, per rivitalizzarlo in attesa della ricostruzione definitiva, palesando di non conoscere la nostra cultura e l’importanza preminente per gli italiani del patrimonio culturale del nostro Paese. La sua cronaca mi sembra non corretta quando disegna il parallelo sull’esigenza di ricostruire altrove per il disastro americano e per quello aquilano del 2009: a differenza degli uragani, le tecniche moderne consentono di ricostruire in zone sismiche e, pertanto, all’Aquila, diversamente che negli USA, ricostruire dove sono le abitazioni distrutte si può. Una grande verità invece, viene affermata allorquando Kimmelman scrive che la città si è concentrata sui palazzi anziché sull’ urbanistica.
INADEGUATO IL MODELLO ‘DOV’ERA COM’ERA’
L’esperto d’arte e giornalista americano ha sottolineato con quella frase semplice la inadeguatezza del modello ‘dov’era com’era’ e dell’estenuante rifiuto da parte degli amministratori locali a tracciare un quadro di ricostruzione complessivo che il legislatore del celeberrimo decreto Abruzzo aveva imposto. Per questo mi corre l’obbligo di ricordare come il governo, per il mio tramite come Commissario Delegato, si sia sforzato nel fornire ogni utile ausilio per approntare un piano di ricostruzione complessivo della città dell’Aquila. Un piano che disegnasse i nuovi profili urbanistici, sociali ed economici del centro storico del capoluogo d’Abruzzo. Ed è opportuno evidenziare come si sia proceduto già nel 2010 al finanziamento della ricostruzione di tutti gli edifici pubblici del centro storico, al fine di determinare un possibile slancio ricostruttivo introno al quale si sarebbe potuto tempestivamente ripartire.
POLEMICA POLITICA DI BASSO RANGO
Nonostante tutto ciò, l’amministrazione aquilana ha preferito non scegliere per poi usare l’impasse e l’omissione come deplorevole strumento di polemica politica di basso rango che ha avuto come unico risultato quello di creare incertezza. In questo senso, anche grazie alla stampa internazionale, cominciano ad emergere pareri terzi, obiettivi, sulle reali ragioni di uno stallo operativo che non fa bene all’Aquila, all’aquilano e all’Abruzzo intero. Spero che in futuro si moltiplichino analisi come quelle del NYT: ciò potrebbe contribuire finalmente a spronare chi ora ha le competenze per agire ad agire in fretta (il Governo da un lato e i Comuni dall’altro), tenendo presente che la contrapposizione politica può stare lontana dal destino degli aquilani, essendo arrivato il momento di fare o, meglio, di ricostruire”.