L’AQUILA- E’ chiaro che piace anche a Barca il gioco delle tre carte. Dal forum dell’Ocse alla Dompé, il ministro, ancora per poco, della Coesione territoriale aveva tuonato contro i Comuni del cratere: “Non fanno il loro dovere, sono poco attivi, non informano, non dicono la verità alla gente. I soldi ci sono, bisogna soltanto utilizzarli”. Basta leggere il report dell’Assemblea cittadina per rendersi conto che le cifre del ministro rappresentano soltanto un bluff, e per capire come fosse nel giusto l’assessore alla Ricostruzione Pietro Di Stefano quando dichiarava all’ ’Espresso’ che i soldi stavano per finire e comunque non sarebbero bastati a ricostruire L’Aquila, in particolare il suo centro storico. O come non fosse in errore il sindaco della città quando affermava d’essere preoccupato per il 2014 perché gli stanziamenti previsti sarebbero stati esigui. Dire che era stato tutto previsto e ampiamente, sarebbe facile oggi col senno di poi. Come sarebbe facile aggiungere che dal governo Monti L’Aquila non doveva aspettarsi molto di più, al contrario di quanto è avvenuto in Emilia dove la ricostruzione delle zone terremotate è stata finanziata con ben 6 miliardi e mezzo di contributo agevolato dalla Cassa Depositi e prestiti, cosa che il governo di Monti, Barca, Casini, Bersani e Alfano si è rifiutato di fare con L’Aquila.
E gioco delle tre carte è stato anche volere spacciare il ‘concorsone’ appena concluso come svolta epocale insieme all’istituzione dei due Uffici speciali che dovrebbero imprimere un’accelerazione, una svolta determinante alla ricostruzione della città. La verità è che è sempre e comunque “l’argent qui fait la guerre” e che l’ “argent”, cioè i soldi, sono pochi o stanno per finire. Barca, il prestigiatore, amico e sodale politico del nostro sindaco, i soldi della ricostruzione li userà anche per la bonifica (50 milioni) del sito inquinato di Bussi, ma non ne avrà più per l’assistenza alla popolazione terremotata (leggasi contributo di autonoma sistemazione) già alla fine del 2014. C’è solo da augurarsi che il governo prossimo venturo, che non sappiamo quanto durerà, prenda a cuore le sorti dell’Aquila, almeno più di quanto non abbia fatto l’esecutivo dei tecnici con in testa Monti e il ministro Fabrizio Barca.