L’AQUILA – La 39a Stagione Concertistica all’Aquila dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese apre con i migliori auspici per il capoluogo di regione, l’opera lirica Macbeth di Giuseppe Verdi in forma di concerto dal sottotitolo quanto mai propiziatorio, Aspettando teatro, in attesa di rivedere al più presto ricostruiti e ripopolati i maggiori centri culturali della città.
Sabato 19 Ottobre alle ore 18.00 sarà l’Auditorium della Guardia di Finanza all’Aquila ad ospitare la coproduzione dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese con il Teatro Marrucino di Chieti e Fondazioni all’Opera di Teramo ed in collaborazione con la Società dei Concerti “P. Riccitelli” di Teramo.
Orchestra Sinfonica Abruzzese, maestro concertatore e direttore Massimiliano Stefanelli, Coro del Teatro Marrucino e maestro del Coro Paolo Speca, cento fra cantanti e professori d’orchestra sul palco dell’Auditorium.
La guida all’ascolto è affidata al musicologo Francesco Sanvitale che racconterà al pubblico presente l’essenza di questa opera lirica.
Un prodotto musicale made in Abruzzo dei maggiori Enti che hanno creato e proposto nei teatri del territorio regionale e delle Marche ottimizzando costi e risorse, così come nelle corde del direttore artistico Ettore Pellegrino e del Presidente Antonio Centi dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese che operano nella direzione dell’impresa culturale, seguiti dagli altri Enti che comprendono come il prodotto di qualità scaturisca dalla cooperazione.
Nell’anno dei festeggiamenti verdiani questo titolo richiama l’attenzione su una particolare condizione umana, dalle parole del Maestro concertatore e direttore Massimiliano Stefanelli: Verdi, che fu uomo fortemente radicato nel suo tempo e artista singolarmente sensibile, pur senza le parole giuste a disposizione, (i concetti freudiani verranno espressi pochi anni dopo, ndr) ha fatto uso della musica per significare ancora di più, per scandagliare ancora più in profondità e restituirci un capolavoro di dimensioni tali che nessuna osservazione può cogliere nella sua interezza… questi gli spunti da cui sono nate le mie riflessioni e le conseguenti scelte interpretative… sempre con l’acuta consapevolezza di non poter cogliere il tutto… ma con la forte sensazione, con questa nostra edizione, di farne parte!
Il biglietto d’ingresso è di € 10,00 intero e € 8,00 ridotto.
Abbonamento ai 23 concerti € 100,00 intero € 80,00 ridotto
Sarà possibile acquistare anche prima del concerto di sabato.
Macbeth
Melodramma in quattro atti Libretto di Francesco Maria Piave e Andrea Maffei
Musica di
Giuseppe Verdi
mpositore Paolo Tosti” – Milano, febbraio 1887 (Archivio “F. P. Tosti”, per gentile concessione dell’Istituto
Macbeth: la trama
ATTO I
Siamo in Scozia, in un bosco percorso da lampi e tuoni, dove alcune streghe riunite commentano i sortilegi e le malefatte compiute (“Che faceste? Dite su”).
Il rullo di un tamburo annuncia l’arrivo di Macbeth e Banco, generali dell’esercito del re scozzese Duncano. Le streghe salutano Macbeth profetizzando il suo destino come sire di Glamis, sire di Cawdor e re di Scozia. Macbeth rimane sorpreso all’ascolto delle parole delle megere e Banco chiede loro una profezia per se: le streghe gli annunciano che non sarà sovrano ma padre di re. Arrivano alcuni messaggeri del re Duncano che annunciano a Macbeth di essere stato eletto sire di Cawdor, confermando così la profezia. Banco inorridisce al pensiero che le streghe abbiano detto il vero, mentre Macbeth dà voce ai suoi pensieri di ambizione e morte (duetto “Due vaticini compiuti or sono”). Nell’atrio del proprio castello, Lady Macbeth legge una lettera del marito ove
egli racconta il vaticinio delle streghe e si convince che l’unico modo per avverare le loro parole è quello di ammazzare il legittimo sovrano. Teme però che il marito possa indugiare nel portare a termine l’audace impresa e decide che sarà lei ad infiammare il cuore di Macbeth e a spingerlo all’assassinio del re Duncano (“Vieni, t’affretta”). Istigato della moglie, ma combattuto dalla coscienza, Macbeth ha la prima delle visioni che lo tormenteranno fino alla fine: vede un pugnale con la lama sporca di sangue. La visione spinge Macbeth ad agire e, entrato nella stanza del re, lo uccide. La Lady, accortasi che Macbeth, travolto dalla consapevolezza della gravità del proprio delitto e dalla paura (“Fatal mia donna, un murmure”), aveva dimenticato di posare l’arma del delitto accanto alle guardie per far cadere su loro la colpa, entra nella stanza del sovrano assassinato per lasciarvi il pugnale insanguinato. Il mattino seguente, mentre Banco dice di aver sentito lamenti e voci di morte nella notte (“Oh qual orrenda notte”), Macduff va per svegliare il sovrano e lo trova morto: Macbeth, Lady Macbeth, Malcolm ed i servi gridano al tradimento.
ATTO II
Nella sua stanza, Macbeth ripensa alla profezia che le streghe hanno fatto a Banco, “non re ma di monarchi genitore”, e vedendo in lui un nemico decide di ucciderlo insieme al figlio Fleanzio. Lady Macbeth ancora una volta invita il marito a essere fermo nei propositi (“Trionfai, securi alfine”). Nel parco vicino al castello di Macbeth un gruppo di sicari si riunisce per attacca- re Banco e suo figlio, che camminano preoccupati da oscuri presentimenti (“Come dal ciel precipita”). Banco viene ucciso, ma Fleanzio riesce a fuggire. Nel castello, davanti a una mensa imbandita, dame e cavalieri salutano Macbeth, che propone un brindisi in onore della moglie (“Si colmi il calice”), ma la festa è interrotta dall’arrivo di un sicario dal viso sporco di sangue. Macbeth è turbato e comincia a delirare alla visione dell’ombra di Banco con i capelli insanguinati, mentre Lady Macbeth sottovoce invita il marito a calmarsi e svegliarsi. Quando Macbeth ritorna in sé, il banchetto riprende, ma di nuovo appare l’ombra di Banco scacciata violentemente dallo stesso Macbeth. Lady Macbeth accusa il marito di essere troppo timo- roso e lo invita alla ragione perché è convinta che chi è morto non può più tornare.
ATTO III
In un antro tetro, intorno a un calderone che bolle, le streghe preparano una poltiglia infernale (“Tre volte miagola”). Macbeth le interroga e le streghe evocano le apparizioni e ne spiegano il significato. La prima, una testa coperta d’elmo, dice a Macbeth di guardar- si dal nobile scozzese Macduff; la seconda, un fanciullo insanguinato, gli dice che “nessun nato di donna” gli potrà nuocere; la terza apparizione, un fanciullo coronato che porta un ramoscello, dichiara Macbeth invincibile fino a quando non vedrà la foresta di Birnam muoversi. Le apparizioni magiche continua- no con la sfilata dei fantasmi di otto re, la stirpe di Banco che regnerà.. Macbeth li scaccia e sviene. Le streghe invitano gli spiriti aerei a destare il re svenuto. Macbeth rinviene, disposto a difendere ed accrescere ad ogni costo il proprio potere (“Vada in fiamme, e in polve cada”).
ATTO IV
Ai confini della Scozia e dell’Inghilterra, i profughi scozzesi piangono le sorti della patria in mano a un tiranno che la insanguina (“Patria oppressa”). Infatti Macbeth ha fatto uccidere anche i figli e la moglie di Macduff, il quale ne piange le sorti (“Ah, la paterna mano”). Malcolm, figlio di re Duncano, alla testa dei soldati inglesi, insieme a Macduff invita alla rivolta contro il tiranno (“La patria tradita”). Durante la notte, nel castello, Lady Macbeth è colta da sonnam- bulismo: la sua dama e il medico la vegliano e assistono ad una scena rituale. Lady Macbeth si sveglia e rievoca l’assassinio di Duncano, di Banco, di Macduff e affannosamente cerca di togliere il sangue dalle mani, ma inutilmente. (“Una macchia… è qui tuttora”). Le truppe nemiche assediano il castello di Macbeth che dichiara di non temere nulla in quanto le streghe
hanno profetizzato che nessun nato di donna gli può nuocere. Tuttavia Macbeth si sente sfuggire la vita ed è consapevole che nessuno onorerà la sua memoria (“Pietà, rispetto, amore”) e resta impassibile anche all’annuncio della morte di Lady Macbeth. La scena presenta una pianura circondata da
alture e boscaglie; il fondo della scena è occupato dai soldati inglesi, i quali lentamente avanzano nascondendosi dietro fronde d’albero (la foresta che si muove). Quando Macbeth apprende che la foresta
di Birnam si muove, grida al tradimento e, impugnati spada e pugnale, fronteggia Macduff ricordando- gli il presagio delle streghe che lo renderebbe invincibile. Macduff però gli svela di non essere nato (in modo naturale) da donna ma di esse-
re stato tolto dal seno materno, e battendosi disperatamente con Macbeth, lo uccide. L’opera finisce con la scena dei festeggia- menti per la vittoria di Macduff e per la morte di Macbeth l’usurpatore. (“Mal per me che m’affidai”)
“La vita non è che un’ombra che cammina; un povero commediante che si pavoneggia e si agita sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e furo-
re, che non significa nulla” W. Shakespeare
Note musicali di Massimiliano Stefanelli
Se Verdi avesse avuto a disposizione le parole che Sigmund Freud ha coniato anni dopo per descrivere e definire alcuni stati patologici della mente umana, probabilmente il suo Macbeth
non avrebbe mai visto la luce. Con le definizioni che la psicanalisi moderna ha a disposizione, Verdi non avrebbe cioè approfondito la psicologia dei suoi personaggi con tanta ferrea determinazione, lucida intuizione e geniale acume musicale e drammaturgico! E forse, se Freud non avesse avuto i personaggi del Macbeth, shakespeariano prima e verdiano poi, quelle stesse definizioni scientifiche non avrebbero trovato applicazione più pertinente. La genesi musicale del Macbeth fu in effetti lunga e difficile per Giuseppe Verdi, che realizzò due versioni dell’opera a quasi venti anni l’una dall’altra: la prima che debuttò nel Teatro “La Pergola” di Firenze nel 1847 e la seconda, revisionata per la rappresentazione parigina del 1865 al Théâtre Lyrique. Trovo straordinario che il sessantaduenne Verdi sia stato attento a sottolineare gli esiti della spietata indagine dei suoi personaggi compiuta dal quarantaquattrenne, senza mai contraddirlo o metterlo in discussione, anzi ribadendolo con accentuato vigore compositivo, quello che gli derivava, appunto, dalla ventennale esperienza maturata da allora, senza preoccuparsi delle contraddizioni derivanti dalle evidenti differenze stilistiche fra gli originali e i “rifacimenti”. Già, perché Verdi, quello che aveva rivoluzionato il teatro d’opera italiano restituendogli, o donandogli, la verità drammaturgica, non poteva non cogliere la stridente diversità stilistica esistente fra un’aria come “La luce langue” a cui fa seguire il “Coro di Sicari” o fra il Coro che inaugura il IV Atto, “Patria oppressa”, a cui segue “Ah! La paterna mano”!. Eppure con tenerezza e rispetto guarda al suo “giovane col- lega” e lo riconferma e lo sostiene. Così, solle- citato da queste considerazioni ho deciso di attingere ad entrambe le versioni per la veste musicale definitiva del presente allestimento, recuperando, ad esempio, il finale del 1847, che ha il duplice pregio, a mio avviso, di ripristinare l’originaria struttura del IV Atto (tranne il citato “Patria oppressa”), e di consentire a “Macbeth” di vivere “in scena” l’epilogo della sua vicenda, che nella versione del 1865 avviene fuori dalla scena e solo brevemente raccontata. Verdi tende nella partitura ad una quasi maniacale (termine quanto mai appropriato per quest’opera!) cura della caratterizzazione scenica e musicale delle differenze psicologiche dei suoi personaggi principali, “Macbeth”, “Lady Macbeth” (significativamente priva di nome proprio) e “Banco”, nel contempo artefici e vittime della tragedia che si andrà compiendo. Quanta cura delle linee vocali e musicali! Che sapiente uso di tutte le tecniche strumentali conosciute per creare i colori necessari! Quante indicazioni scritte e riscritte nel tentativo strenuo di spogliare i suoi interpreti delle loro idee e garantirsi così la realizzazione della precisissima immagine sonora che i personaggi devono avere! Di Freud dicevamo! Ecco, quali termini avrebbe usato per descrivere i personaggi verdiani? Maniaco-compulsivo per “Macbeth”? Schizofrenica la “Lady”? E “Banco”? Uomo così fortemente sociale (con tanto di figlio nato da vero amore e fortemente amato) contrapposto a un “Macbeth” e ad una “Lady” così dis-sociali… Maniaco-depressivo, forse? Verdi, che fu uomo fortemente radicato nel suo tempo e artista singolarmente sensibile, pur senza le parole giuste a disposizione, ha fatto uso della musica per significare ancora di più, per scandagliare ancora più in profondità e restituirci un capolavoro di dimensioni tali che nessuna osservazione può cogliere nella sua interezza… questi gli spunti da cui sono nate le mie riflessioni e le conseguenti scelte interpretative… sempre con l’acuta consapevolezza di non poter cogliere il tutto… ma con la forte sensazione, con questa nostra edizione, di farne parte!
11
Massimiliano Stefanelli