Avrei bisogno di troppo tempo per ripercorrere i cinque decenni attraversati dalla storia del Teatro Stabile dell’Aquila. I soli Anni Sessanta sono un periodo troppo complesso per descriverlo in pochi minuti. Mi limiterò quindi a ricostruire per grandi linee quel 1963 che fa da contesto alla nascita del TSA.

Quella di cui parliamo è un’Italia che ha da poco festeggiato il primo Centenario dell’unità nazionale, senza le lacerazioni che conosceremo nel 2011. E’ un Paese in profonda trasformazione, un Paese in pieno “miracolo economico” nel quale però lo sviluppo si rivela già fondato sui bassi salari e sul lavoro sommerso. L’industria spopola le campagne, crea nuova classe operaia e aumenta la conflittualità. La struttura familiare diventa post-patriarcale, urbana e plurireddito. Nelle città esplode l’urbanesimo, la costruzione di borgate e “quartieri dormitorio”, l’abusivismo edilizio. A Brugherio uno sconosciuto Silvio Berlusconi apre il suo primo cantiere edile.

E’ una società nella quale non si produce più per consumare, ma si consuma per produrre. E’ il passaggio da una società dimessa a una società di massa … Simboli del nuovo benessere, nascono i supermercati e insieme ad essi quell’autentico fenomeno di costume che è “Carosello”. Nel Paese circolano meno di 5 milioni auto (oggi sono otto volte tante) e quasi 4 milioni e mezzo (contro i 16 attuali) sono gli abbonati alla TV. E’ la RAI di Ettore Bernabei che ha ancora due soli canali in bianco e nero, che veicola al suo interno i valori di una società cattolico-sociale e che subordina l’informazione allo stretto controllo politico. Nel ’62 la censura ha colpito Dario Fo e Franca Rame, colpevoli di aver inserito in “Canzonissima” scenette sulla mafia e sugli infortuni sul lavoro.

E’ l’Italia del lungo monocolore democristiano, che con oltre il 38% dei voti si riconferma nelle elezioni politiche di aprile. Il capo dello Stato Antonio Segni e il capo del governo Giovanni Leone sono democristiani, come il ministro degli Interni Rumor o il ministro dello Spettacolo Folchi. Remo Gaspari è sottosegretario alle Poste e Lorenzo Natali al Tesoro.

Il governo Leone è però un “governo ponte” che apre già verso il centro-sinistra (a dicembre nasce il governo quadripartito Moro), mentre il PCI resta relegato all’opposizione in ossequio alla logica di Yalta che divide il mondo in blocchi (il Muro di Berlino è stato costruito da due anni) e che prevede per l’Italia una sorta di democrazia bloccata e senza alternanza. E’ la logica, insomma, della “guerra fredda” che tiene in ostaggio l’Europa, mentre il mondo è in subbuglio, segnato l’anno prima dalla crisi dei missili a Cuba e poi dall’inizio della guerra americana nel Vietnam, dalla marcia di Martin Luther King a Washington e dall’assassinio di John Fitzgerald Kennedy. Oltre che dalla morte di Papa Giovanni, gli italiani sono colpiti da un grande lutto collettivo: quel disastro del Vajont che in una sola notte fa quasi 2.000 morti.

Paese (anche allora) dalle mille contraddizioni, l’Italia inizia a costruire le migliori autostrade d’Europa, ma ha scuole, ospedali e trasporti pubblici da Terzo mondo. Mentre in Inghilterra esce il primo album dei Beatles, da noi Tony Renis vince il festival di Sanremo presentato da Mike Bongiorno con Edy Campagnoli.

Tuttavia questa Italia provinciale e un po’ bigotta del ’63 vede nascere “Lessico familiare” di Natalia Ginzburg, “La tregua” di Primo Levi, “La cognizione del dolore” di Carlo Emilio Gadda. Anche il cinema vive una grande stagione: Otto e mezzo (Federico Fellini), Il Gattopardo (Luchino Visconti), Le mani sulla città (Francesco Rosi). A Milano Giorgio Strehler dirige “Vita di Galileo” di Bertolt Brecht, a Palermo Edoardo Sanguineti e altri fondano il movimento poetico d’avanguardia Gruppo 63.

Come il resto del Paese, anche l’Abruzzo (da cui proprio in quell’anno si stacca il Molise) è una regione in rapida trasformazione, che sta cambiando il suo volto, da rurale a industriale e terziario. Per regione s’intende ancora una categoria puramente geografica, non essendo fino ad allora istituiti gli Enti Regionali. E’ ancora l’Abruzzo degli Abruzzi, terra di particolarismi, priva di identità unitaria. Nel ’61 si è tenuto il censimento, dal quale risulta che la popolazione abruzzese è più o meno pari a quella del comune di Napoli, e si va concentrando nelle aree costiere.

E’ l’Abruzzo del duopolio Natali-Gaspari (riedizione in chiave democratica del binomio Serena-Acerbo di epoca fascista), con Pescara che guarda alle altre città abruzzesi e L’Aquila che guarda a Roma, conscia della posizione privilegiata e rischiosa insieme, perché da una parte consente di attrarre risorse e talenti emergenti ma dall’altra di essere risucchiati dalla Capitale.

Non c’è ancora l’autostrada e Roma si raggiunge in 3/4 ore con l’autobus di Pacilli che fa 15 minuti di sosta a Rieti… L’amministrazione del sindaco DC Francesco Gaudieri sogna (corsi e ricorsi storici) la costruzione di un mercato coperto nel sottosuolo di piazza Duomo, su un progetto redatto ben 27 anni prima dall’ingegner Massimo Leosini. A Scoppito l’arcivescovo dell’Aquila Costantino Stella consacra sacerdote un giovane del posto, di nome Giuseppe Molinari. In città il dibattito politico è molto vivo e i partiti si confrontano quotidianamente mediante mordaci giornali murali.

La gente si sposta ancora a piedi o sui mezzi pubblici di Chiodi e Capranica, non esistono ancora né computer né telefonini, i giovani si riuniscono intorno ai jukebox o nei primi “club” (scantinati umidi e mal riscaldati) e ascoltano i primi complessi aquilani (I Magnifici e Gli Antenati). La Perdonanza Celestiniana si celebra con una benedizione delle auto davanti alla basilica di Collemaggio e L’Aquila Calcio del presidente Euro Barattelli gioca nella serie C, sempre su posizioni di metà classifica. Altri eventi cittadini di quegli anni: la processione del Venerdì Santo, la fiera del bestiame del Torrione, la Befana del Vigile ai Quattro Cantoni, la cronoscalata di Collemaggio, la costruzione del ponte di Belvedere, la nascita di una famosa fabbrica di torroni.
Città beneficiata dal fascismo e filo-monarchica al referendum del ’46 L’Aquila ha subito una serie di spoliazioni, la Zecca di Stato, la scuola Allievi Ufficiali di Complemento, il campo di aviazione, il calzaturificio militare, 2 reggimenti, la Scuola motoristi dell’aeronautica e la sede regionale della EIAR (poi divenuta RAI).

Sembrano salvarla dal declino solo una tardiva industrializzazione (quello stabilimento Siemens, che arriverà a contare 5.000 addetti nel 1970) e una intensa attività edilizia che tuttavia stravolge le periferie e crea nuovi quartieri dormitorio privi di servizi. Parliamo del Torrione, di San Francesco, di Visca, di via Strinella, di Manetta e di Santa Barbara, mentre località come Pettino o Genzano o la Torretta erano ancora dei paesi a parte, che verranno inglobati nella città solo dal PRG del 1975.

Coi suoi poco più di 56.000 abitanti (Pescara e Chieti insieme ne hanno tre volte tanti), L’Aquila borghese e parassitaria famosa in Italia solo per le rigide temperature e per la sua squadra di rugby, assiste dunque impotente al decollo economico delle dinamiche aree costiere ed è di fatto rassegnata a giocare un ruolo marginale.

Ma alcuni uomini compresero che la strategia dello sviluppo aquilano poteva puntare sul settore immateriale della cultura e della conoscenza: è il caso di Vincenzo Rivera e del suo disegno di rifondare l’università. Nel 1963 egli ottenne il riconoscimento del corso di laurea in lingue e letterature straniere. L’anno successivo studenti e goliardi svolgeranno la clamorosa e pacifica “marcia su Roma” a piedi, lungo la Salaria, per chiedere il riconoscimento delle facoltà di Scienze ed Economia e Commercio. L’Aquila rompeva in questo modo il suo isolamento culturale.

Per la verità fin dal dopoguerra L’Aquila aveva manifestato una forte vitalità culturale, con la nascita del Gruppo Artisti Aquilani e poi con la Società dei Concerti Barattelli, creata da Nino Carloni nel 1946. Nel 1951 era nata la Corale “Gran Sasso” del maestro Paolo Mantini. Nel 1953 era nato il Circolo Giovani Amici della Musica e nel 1955 l’ Ente Aquilano per il Teatro Drammatico (presieduto da Lorenzo Natali) e la Scuola di Cultura Drammatica (fondata da un poco più che trentenne Peppino Giampaola, con la collaborazione del grande pedagogista Luigi Volpicelli). Importante anche il teatro amatoriale “Piccola brigata” (1950) di Aldo Quaranta, Nettino Di Gregorio, Mario Iovinelli, Luigi Rossi e Peppino Giampaola.

Insomma, agli inizia degli anni Sessanta all’Aquila esisteva già un humus che ne avrebbe fatto una capitale delle avanguardie e degli intellettuali in formazione. Basti pensare alle rassegne di “Alternative Attuali” con le quali il grande storico e critico d’arte romano Enrico Crispolti dall’Aquila fa conoscere la pop-art americana in Italia. E’ in questo clima di fervore che nasce la straordinaria scommessa di creare all’Aquila un teatro a gestione pubblica. Come è noto, lo scoglio principale alla nascita di un teatro a gestione pubblica era il requisito di almeno 400.000 abitanti. E la battaglia vittoriosa fu quella di considerare tale norma riferibile alla dimensione territoriale e non più solo a quella municipale.

L’atto costitutivo del TSA viene firmato nello studio del notaio Trecco alla presenza, fra gli altri, del sindaco Francesco Gaudieri e dell’on. Lorenzo Natali, che ne sarà il primo presidente. Era il 28 ottobre 1963, 50 anni fa. 28 ottobre… una data non troppo felice nella storia d’Italia.

Errico Centofanti avrebbe preferito il 14 gennaio 1964, giorno del debutto del primo spettacolo coi burattini di Maria Signorelli. O il 19 marzo 1965, giorno della prima grande produzione (L’uomo, la bestia e la virtù, di Pirandello) nonché onomastico del “Fondatore” Peppino Giampaola. In realtà, prima che nel puro atto notarile, il teatro era nato nelle menti di tre intellettuali che avevano anteposto per il bene della Città il coraggio dell’utopia all’atavico spirito fazioso e alle armi della maldicenza agnesina che da sempre inquinano la nostra “Aquilanitas”.

Sta di fatto che da quel 28 ottobre ’63 il TSA era una realtà con la quale L’Aquila iniziava ad essere conosciuta in tutta Italia e con la quale per la prima volta l’Abruzzo esercitava un ruolo di rilievo nella politica culturale nazionale. Di altissimo livello è infatti la sequenza di personalità che da allora avrebbero dato vita al nostro teatro. Autori come Silone, Pomilio, Moravia. Musicisti come Guaccero e Morricone. Artisti figurativi come Burri e Ceroli. Registi come Calenda e Zurlini. Grandi attori affermati come Alida Valli, Pupella Maggio, Elsa Merlini, Gianni Santuccio, Glauco Mauri, Gabriele Lavia, Achille Millo, Carmelo Bene, Nino Taranto. Attori all’epoca emergenti come Sergio Castellitto, Mariangela Melato, Ugo Pagliai, Paola Gassman, Andrea Giordana, Gigi Proietti e la straordinaria Piera Degli Esposti che oggi abbiamo il piacere di avere qui con noi.

La storia artistica e non solo del TSA sta tutta nel libro di Errico Centofanti e di altri lavori che saranno presto pubblicati, come l’ultima fatica di Umberto De Carolis per i tipi di Textus: Scena Aperta – Mito e logiche del Teatro d’Abruzzo (1963-1998). Non mi soffermo oltre. Vorrei invece sottolineare in conclusione come al “collettivo direzionale” del TSA “prima maniera” (Peppino Giampaola – Luciano Fabiani – Errico Centofanti) si debba una scelta culturale precisa: rifiutare quello che Brecht chiamava un “teatro gastronomico” o di generico intrattenimento in favore di un teatro dell’impegno, un teatro che faccia innanzitutto pensare. In un’Italia che si avviava al ’68, il TSA fu indubbiamente un teatro teso a stimolare la riflessione su temi quali la legittimazione e l’esercizio del POTERE, il rapporto biunivoco società/arte e teatro/politica.

Altro elemento significativo è il processo di germinazione innescato dalle grandi istituzioni aquilane. Come già la “Barattelli” aveva prodotto la nascita del Conservatorio “A.Casella” (1966/67), dei Solisti Aquilani, dell’ISA ed altro ancora, così il TSA diventa detonatore di un’altissima stagione culturale che si concretizza mediante la nascita del TADUA, dell’Accademia di Belle Arti, della cattedra di Storia del Teatro, dell’ATAM, del teatro stabile d’innovazione L’Uovo. In quella fortunata stagione, Carmelo Bene (regista de La cena delle beffe) è anche docente dell’Accademia di Belle Arti dove insegnano personalità come Achille Bonito Oliva, Arbasino, Bussotti, Cascella, Fabio Mauri, Franco Ceroli, mentre fra gli scenografi del TSA ci sono Burri e Muzi.

Di tutta questa straordinaria produzione è stata certo determinante anche la politica, ma sono convito che poco o nulla o altro essa avrebbe prodotto senza la passione e la competenza espressa da uomini come Peppino Giampaola, Luciano Fabiani, Errico Centofanti. Aquilani benemeriti come Nino Carloni, Nicola e Francescangelo Ciarletta, Giovanni Pischedda, Alessandro Clementi, Remo Celaia, Fulvio Muzi e tanti, tanti altri ancora. Credo che se ricomparisse fra di noi, Buccio di Ranallo tornerebbe a chiamarli a pieno titolo “li boni homini de Aquila”.

*Storico

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