E’ una giornata calda, il cimitero comincia ad animarsi dal via vai di parenti e amici che portano fiori sulle tombe dei propri cari. Si fermano pochi istanti di fronte al loculo, sistemano la tomba, prendono l’acqua e trattengono qualche fiore per il lontano parente che riposa poco distante.
Per un anno intero il cimitero aquilano è silenzioso e vuoto. Palazzi di loculi crollati coprono la prima fila di tombe con calcinacci e vecchi lumini.
Lì, tra quelle tombe, ormai non si reca più nessuno. E’ “zona rossa”, così cita un cartello. Ma c’è una donna, una moglie, che pur di salutare il suo defunto si fa largo fra le macerie rimaste immobili per 1668 giorni.
Barcolla, afferra una scala ormai inutilizzata, sposta quello che riesce a sollevare. Ma rinuncia. Non la ferma la fatica per arrivare in fondo ma i molti nomi coperti e le troppe lapidi in frantumi. Lascia i fiori lì, sul mucchio di macerie e torna indietro.
Così L’Aquila commemora i propri defunti.