L’AQUILA-Il Tribunale di Roma ha definito con una sentenza assolutoria la vicenda giudiziaria relativa agli scontri che ci furono nella Capitale nel corteo di aquilani del 7 Luglio 2010, quando 5 mila cittadini invasero la “zona rossa” di Roma per chiedere detassazione, sostegno all’economia terremotata e ricostruzione.
I tre imputati di cui un aquilano di 25 anni, (oltre ad un uomo e una donna di Roma, entrambi giovani) erano accusati a vario titolo di resistenza a pubblico ufficiale pluriaggravata perche’ in concorso e violazione delle leggi sulla pubblica sicurezza.
In particolare, al ragazzo aquilano e a quello romano veniva contestata la resistenza a poliziotti, carabinieri e finanzieri che erano schierati all’inizio di via del Corso; erano accusati di aver spintonato e pressato per forzare il blocco e spostare indebitamente la manifestazione da piazza Santi Apostoli, dov’era stata autorizzata, fino a Montecitorio e a palazzo Chigi. Era stata contestata anche l’aggravante di essere stati in piu’ di dieci e aver lanciato corpi contundenti, in particolare e’ stata considerata come tale l’asta di una bandiera.
Il ragazzo romano, assieme alla ragazza, era accusato di essersi messo alla testa di un corteo non autorizzato da piazza Montecitorio fino a via Ulpiano, sede della Protezione civile dove era stato anche bloccato il traffico, violando l’articolo 18 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (Tulps). Il Tribunale ha assolto gli imputati con la formula “Perche’ il fatto non sussiste”.
Nel corso della manifestazione ci furono momenti di tensione tra Forze dell’ordine e manifestanti che coinvolsero anche esponenti istituzionali come il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente e in qualche caso sfociarono in veri e propri scontri. Nei giorni successivi i comitati cittadini che avevano organizzato la manifestazione tennero anche una conferenza stampa alla Camera dei deputati per chiarire com’erano andate le cose, assicurando che non c’erano state provocazioni da parte di infiltrati esterni.