L’AQUILA – È dal lontano anno 2003 che un gruppo di appassionati della montagna e della meteorologia (che nel 2006 hanno fondato L’Associazione Meteorologica Aquilana “AQ Caput Frigoris” – http://www.caputfrigoris.it) hanno iniziato sistematicamente un monitoraggio visivo delle condizioni di innevamento del ghiacciaio più meridionale di Europa, il ghiacciaio del Calderone, nel gruppo del Corno Grande del Gran Sasso D’Italia, in Abruzzo.

Si tratta di un ghiacciaio di circo cosiddetto “fossile” perché la gran parte della massa di ghiaccio è ricoperta da detriti morenici (ghiaia e massi), e la neve di accumulo invernale, che solo parzialmente riesce a sopravvivere all’estate, ricopre principalmente questi detriti, e non direttamente la massa ghiacciata, che quindi non partecipa direttamente al ciclo di accumulo e trasporto ma può al massimo conservarsi in attesa di “tempi migliori”. In caso di più annate favorevoli consecutive, con accumuli nevosi maggiori degli scioglimenti, si assisterebbe alla formazione di nuovo ghiaccio al di sopra del detriti più che all’incremento del ghiaccio “fossile” ora presente al di sotto.

Questi detriti potrebbero poi in parte essere trascinati dalle masse ghiacciate e disporsi diversamente, consentendo parzialmente al ghiaccio fossile di tornare a partecipare al ciclo. Ma in questi anni l’interrogativo che ci si pone è legato prima di tutto alla conservazione della ridotta massa ghiacciata fossile o alla sua eventuale scomparsa definitiva, ed in seconda battuta alla valutazione della consistenza e persistenza dei nuovi accumuli nevosi, da cui potrebbe eventualmente generarsi una ripresa del ghiacciaio.

Ecco perché a questo scopo diventa importante un monitoraggio sistematico, anno per anno, del ghiacciaio. L’Associazione AQ Caput Frigoris ha deciso fin dal primo anno di concentrarsi su un aspetto particolare, ovvero la quantità e la dislocazione dell’innevamento di inizio estate, che poi costituisce il “carburante” del ghiacciaio, e dunque di effettuare il monitoraggio sempre nella prima metà del mese di luglio per mettere in evidenza non solo la quantità e la copertura media del manto nevoso, ma anche le differenze da zona a zona della copertura nevosa. Infatti, a seconda delle correnti prevalenti nel semestre freddo, ogni anno gli accumuli nevosi possono essere diversificati da zona a zona, con anni in cui gli spessori sono maggiori nella parte più alta oppure nella parte bassa, ed anni in cui la differenza di spessore esiste soprattutto tra lato est e lato ovest.

Senza dilungarci in particolari troppo dettagliati, ci si accorge che nei 12 anni monitorati (dal 2003 al 2014) non si notano diminuzioni degli accumuli nevosi residui di inizio estate, ma anzi che negli ultimi anni prevalgono di gran lunga gli anni in cui la coltre nevosa ricopre anche le balze rocciose che dividono il settore superiore dal settore inferiore del ghiacciaio. Infatti, dividendo il periodo di monitoraggio nei due sottoperiodi 2003-2008 e 2009-2014, ci accorgiamo che nel primo sottoperiodo solo il 2004 presentava manto continuo tra settore superiore e settore inferiore, mentre addirittura sono ben 4 gli anni del secondo sottoperiodo a mostrare questa continuità (2009, 2010, 2011 e 2014). Inoltre l’anno di peggiore innevamento di inizio estate, il 2007 (anno di grossa sofferenza per ciò che resta del ghiacciaio), appartiene al primo sottoperiodo.
Se ne deduce che, almeno per l’aspetto degli apporti nevosi, che soprattutto per questo ghiacciaio è fondamentale (un ghiacciaio può espandersi per l’abbondanza degli apporti nevosi e/o per la limitata fusione estiva, ed il Calderone deve la sua esistenza a questa bassa latitudine principalmente al primo aspetto), il trend appare addirittura positivo, sia pure con le inevitabili eccezioni.

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Registrazione Tribunale dell’Aquila n.560 del 24/11/2006 – PI 01717150666

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