L’AQUILA – Si trova sulle pendici settentrionali della Majella il borgo di Abbateggio, lungo la strada che da Scafa sale verso l’amena località termale di Caramanico Terme. A 450 metri d’altitudine, in bella posizione panoramica, il borgo è quasi un balcone dal quale si può distendere la vista dalla maestosità della catena del Gran Sasso, con le sue cime imponenti, sui colli che digradano fin verso il mare l’Adriatico. Abbateggio domina sulla Valle Giumentina, un’area abitata sin dal paleolitico, come raccontano i reperti rinvenuti con le ricerche a suo tempo condotte dall’archeologo Antonio Mario Radmilli dell’Università di Pisa. Le origini del borgo sembrano risalire al periodo immediatamente seguente l’insediamento dello splendido monastero di San Clemente a Casauria, avvenuto nell’anno 871. Poi, tanti feudatari s’avvicendarono dalla metà del XII secolo, fin quando nel 1583 Abbateggio non fu venduto a Madama Margherita d’Austria, figlia naturale dell’imperatore Carlo V, moglie di Ottavio Farnese e Governatrice nei Paesi Bassi, nel ducato di Parma e Piacenza e in Abruzzo. Figura straordinaria di donna, lasciò tracce profonde in Europa, in Italia, a L’Aquila e in gran parte dell’Abruzzo, dove peraltro concluse i sui giorni, spegnendosi ad Ortona nel 1586. Il Castello di Abbateggio rimase proprietà dei Farnese sino al 1731 quando, con l’estinzione del casato, passò a Carlo III di Borbone, figlio del re di Spagna Filippo V e di Elisabetta Farnese. Da allora il borgo passò sotto il dominio del Regno di Napoli, seguendo le vicende che portano ai giorni nostri. Attualmente Abbateggio conta poco più di quattrocento abitanti e gran parte del suo territorio ricade all’interno del Parco Nazionale della Majella che, con gli altri tre Parchi, fa dell’Abruzzo la regione con il più alto indice di territorio protetto, oltre un terzo della sua superficie, non a caso definita “regione verde d’Europa”.
E’ una splendida giornata di sole, questo sabato 19 luglio, e il cielo è d’un azzurro terso come solo in Abruzzo pare ammirarsi. C’è movimento di forestieri nel borgo, una grande animazione che prelude all’evento importante del pomeriggio, la cerimonia di conferimento del Premio nazionale di letteratura naturalistica “Parco Majella” ai vincitori, una manifestazione che ormai si tiene da 17 anni in questo magnifico borgo d’Abruzzo, diventata negli anni un appuntamento di rilevante interesse culturale, attestato dall’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, dall’egida del Columbus Centre di Toronto – un centro di studi e di cultura italiana famoso in tutto il Canada, per molti anni diretto dal prof. Alberto Di Giovanni, originario di Roccamorice – e dal patrocinio dell’Ente Parco nazionale della Majella, della Regione Abruzzo, della Provincia di Pescara, della Municipalità di Abbateggio e di numerosi Comuni abruzzesi. Nella piazza del paese a fare gli onori di casa è il sindaco Antonio Di Marco, tra i fondatori del prestigioso premio nazionale, così come prestigiosi sono i nomi dei finalisti nelle tre sezioni del Premio selezionati dalla Giuria, presieduta quest’anno da Daniele Becci, presidente della Camera di Commercio di Pescara, e composta da docenti di letteratura italiana, da scrittori e giornalisti, da studiosi ed esperti del settore editoriale e da autorevoli membri delle associazioni ambientaliste. La serata della premiazione è condotta dal giornalista Rai Antimo Amore, la lettura dei brani affidata a Lea Del Greco.
E’ il volume “La Maldicenza” (One Group Edizioni, L’Aquila) di Paola Aromatario ad aggiudicarsi la vittoria nella sezione Saggistica italiana edita. E’ un interessante saggio sull’antica tradizione aquilana di Sant’Agnese, una festa strana e singolare che vale la pena di accennare. Affonda le sue radici nel Trecento la festa aquilana di Sant’Agnese, solennità popolare tutta laica che ha il suo apice il 21 gennaio d’ogni anno. Sant’Agnese, la giovane vergine martirizzata a Roma intorno all’anno 250 d.C., poco o nulla c’entra in questa festività civile completamente votata alla Maldicenza, se non per il fatto che in un monastero dedicato alla santa venivano ospitate le “malmaritate”, prostitute da redimere, che di giorno prestavano servizio in umili faccende domestiche nelle dimore dei potenti della città, mentre a sera rientravano nel monastero dov’avevano ospizio. Ma il 21 gennaio, giorno della ricorrenza canonica di Sant’Agnese, all’Aquila era proibito lavorare. Le malmaritate si ritrovavano nelle bettole della città, insieme al popolo minuto, per dire il male fatto dai signori e potenti presso i quali erano al servizio, mentre critiche non erano consentite sulle istituzioni civili, pena l’esilio perpetuo e il taglio della lingua, secondo l’editto vescovile del 1430. Questa strana festa, solamente aquilana, ha elevato per secoli la maldicenza a “virtù civica”. La singolare tradizione Agnesina della maldicenza, infatti, rifugge dal pettegolezzo. E’ invece critica fortemente mordace, sincera e costruttiva, con spiccate venature d’ironia, nel dire la verità in assoluta libertà. Insomma, un ulteriore elemento della forte impronta libertaria della comunità aquilana che caratterizzò, sin dalla fondazione, lo spirito autonomistico e ribelle della nuova città edificata da 99 castelli del circondario. La festa, tramandata nei secoli attraverso le “confraternite ” popolari, nell’ottocento si arricchì anche con circoli borghesi e nobili. Il regime fascista, che di tale festività ebbe sempre timore per il suo spirito libertario, ne distrusse storia e consuetudine. Solo nel 1959 risorse l’antica confraternita dei Devoti di Sant’Agnese “Sancta Agnes Garrulorum Praesidium”, intorno alla quale sono poi rinate 150 altre confraternite, alcune di sole donne, che il 21 gennaio d’ogni anno si riuniscono intorno a tavole lautamente imbandite “maldicendo”, ossia dicendo “male del male” secondo l’atavica libertà civile aquilana.
Come si fa a comprendere il limite tra dire il male e il dire male? L’Autrice analizza diverse forme della maldicenza – i rumors, i pettegolezzi e i gossip – che si creano nelle relazioni tra persone, fatte di sguardi, di etichette e di stigmi. Il linguaggio ed il flusso delle comunicazioni sono fondamentali per poter operare quella “giusta” distinzione tra il detto e l’intenzione del parlante. A L’Aquila il 21 gennaio di ogni anno, da secoli si celebra la festa di Sant’Agnese, la festa strana, la festa del dire il male, “strana” ed “unica”, per le sue peculiarità, ma anche perché si tratta di una maldicenza positiva, di una comunicazione sana, che ha valenza di apertura sociale. Una festa intrisa di anima antica, dove storia e identità, ogni anno fanno incontrare la comunità aquilana, con il fine di riattualizzare l’antico in un contesto moderno, che ogni volta rinnova, rinvigorisce, riunisce. Il dire male, al contrario, è una maldicenza che oltrepassa l’incerto confine delle differenze tra le due, per diventare una maldicenza “aggressiva” a volte “malvagia”, come la menzogna, la calunnia, la diffamazione e l’ingiuria, fino al delitto in senso lato. Paola Aromatario riesce, con questo bel libro, a raccontare la tradizione aquilana e chiarire il confine tra dire il male e il dire male. E’ un saggio intrigante ed efficace, arricchito dai contributi di Anna Maria Paola Toti (Università La Sapienza di Roma), di Tommaso Ceddia (Università dell’Aquila), del giornalista e scrittore Angelo De Nicola e del giornalista e storico Amedeo Esposito. Paola Aromatario è aquilana e dipendente della Polizia di Stato. Si è laureata in Scienze dell’Investigazione presso l’Università degli Studi dell’Aquila ed è cultore della materia per l’Associazione Nazionale Sociologi. Tra le sue pubblicazioni “Ricomincio da zero anzi da 3,32 – Il diario della mia memoria nei giorni dopo la catastrofe”, uscito in due edizioni (Edisegno, Roma 2009), (Edizioni Arkhè, L’Aquila 2009); “La maldicenza. Dire il male e dire male” (One Group edizioni, L’Aquila 2013). Ha ideato e progettato un documentario sul terremoto dell’Aquila “Un altro domani” (2011, BranMedia Srl), realizzato in collaborazione con altri professionisti. È direttore della rivista socio-culturale Quaderni in mutazione.
Tornando ai premiati della sezione Saggistica edita, al 2° posto si è classificato Duccio Demetrio con il volume “La religiosità della terra. Una fede civile per la cura del mondo” (Raffaello Cortina Editore, Milano) e al 3° posto Vincenzo Gianforte – Giacomo Carnicelli con “Ju Calenne, l’albero del maggio a Tornimparte” (One Group Edizioni, L’Aquila). Nella sezione Narrativa edita si afferma Stefano Carnicelli con il romanzo “Il bosco senza tempo” (Prospettiva Editrice, Roma), al 2° posto l’italo canadese Kenneth Canio Cancellara con “In cerca di Marco” (Telemaco Edizioni, Acerenza) e al 3° posto Arturo Bernava con “Scarpette bianche” (Edizioni Solfanelli, Chieti). Nella sezione Poesia inedita vince Umberto Vicaretti, seguito al 2° posto da Elena Malta e al 3° da Giuseppe Chicchiriccò. Inoltre, Premi Speciali per la Narrativa sono stati tributati a Francesco Petretti per “Bioquiz” (Ed. Diomedea Stadium, Roma) e alla scrittrice marocchina Rita El Khayat per il romanzo dedicato alla figlia morta “Aïni, amore mio. La defigliazione” (Felice Edizioni, Martinsicuro), mentre per la Saggistica i riconoscimenti sono andati al giornalista e scrittore Marcello Sorgi per “Le sconfitte non tornano” (Ed. Rizzoli, Milano), ad Anna Maria Cappa per la biografia di famiglia dei Baroni Cappa di San Nicando “Un ricordo, un amore, una vita” (Tipografia La Stampa), infine ad Alessandro D’Ascanio per “Storia dell’A.L.B.A.” (Edizioni Solfanelli, Chieti). Infine una Menzione Speciale per la Poesia inedita è tributata a Gabriele Liverati per la lirica “Sant’Eufemia a Majella dove io guardo”. Nelle cinquine dei nominati dalla Giuria per l’assegnazione del Premio vanno citati i finalisti: per la Narrativa edita, Anna Maria Falchi con “L’isola delle lepri” (Guanda Editore, Milano) e Raffaele Nigro con “Il custode del museo delle cere” (Rizzoli, Milano); per la Saggistica, Monica Pelliccione con “San Pietro della Jenca. Il Santuario di Giovanni Paolo II sul Gran Sasso d’Italia” (One Group Edizioni, L’Aquila) e Alessandro Pilo con “La strategia del colibrì. Manuale del giovane eco-attivista” (Edizioni Sonda, Casale Monferrato); nella sezione Poesia inedita, Rosanna Milano Migliarini e Daniela Marulli.
Sia consentita, infine, un’annotazione particolare per l’italo canadese Kenneth Canio Cancellara, presente con il suo romanzo “In cerca di Marco”, tradotto dall’inglese “Finding Marco” dalla bravissima traduttrice abruzzese Antonella Perlino, cui si deve peraltro anche la traduzione del romanzo della scrittrice marocchina Rita El Khayat. E’ una figura di spicco della comunità italiana in Canada, Kenneth Canio Cancellara, presidente del Congresso nazionale italo canadesi dell’Ontario, con una storia singolare di successo che, come tante altre, costellano l’epopea migratoria italiana. Come si rileva dall’ampia biografia curata da Dino Salese sul sito http://www.acerenzadiffusa.it/, Canio Cancellara nasce nel 1946 ad Acerenza (Potenza), in Basilicata. Nel 1957 con la madre s’imbarca a Napoli sulla nave Queen Frederica, con rotta verso il paese nordamericano, attraccando dopo una decina di giorni ad Halifax, dove il padre Rocco Saverio li stava aspettando. Così comincia la nuova vita di Canio Cancellara, anche nel nome, con l’aggiunta di Kenneth (Ken). Nel 1966 Ken si diploma con il massimo dei voti al Liceo Harbord Collegiate Institute. Pratica sport, hockey su ghiaccio e soccer (calcio), arrivando a giocare in tre campionati nazionali universitari di calcio con l’Università di Toronto. Ventenne, nel 1966, viene chiamato a giocare nella Canadian National, la squadra nazionale di calcio, giocando diverse partite internazionali. Nel 1967 s’iscrive all’Università di Toronto, con una borsa di studio, alla Facoltà di Arti e Scienze, dove studia filosofia e letteratura inglese, francese e italiana, appassionandosi alle opere dei grandi scrittori italiani ed europei. Dopo soli due anni Ken partecipa ai test d’ingresso in due prestigiose Scuole di diritto di Toronto, la Osgoode Hall Law School of York University e quella dell’Università di Toronto. Ammesso in entrambe, Ken sceglie l’Università di Toronto, essendo la scuola di diritto più prestigiosa del Canada. Nel 1972 si laurea in legge, iniziando così una vertiginosa ed inarrestabile carriera professionale, il cui incipit è il servizio di avvocato presso il Dipartimento di Giustizia del Canada, dove resta per quattro anni.
Dal 1975 Ken segue un corso biennale di specializzazione conseguendo il Master of Law in Business Law presso la Osgoode Hall Law School. Nel 1977, con tre amici avvocati di Toronto, fonda il suo studio legale sotto il nome “Beach Cancellara”. Due anni dopo il Governo canadese lo incarica di trattare una controversia di concorrenza sleale in materia di fissazione dei prezzi contro le principali compagnie petrolifere internazionali. È in questa occasione che Ken Cancellara viene notato e contattato da “Cassels Brock”, uno dei più antichi e prestigiosi studi legali del Canada, con la proposta d’entrare nella loro struttura, come difatti avviene nel 1980, con una forte accelerazione della sua carriera. Presso “Cassels Brock” Ken entra a far parte d’un eccellente e temuto gruppo d’avvocati, con professionisti tra i migliori in assoluto del Paese, alcuni dei quali diventati collaboratori d’alto profilo presso la Corte Suprema del Canada. Ken, assurto al rango dei più prestigiosi civilisti, tratta interessi di importanti aziende, ma anche complesse questioni legali del Governo canadese, delle Forze Armate, del Governo dell’Ontario e di altri clienti pubblici e privati di rilievo. Nel 1988, raggiunto l’apice della carriera, diventa presidente del suo dipartimento, composto da oltre una settantina d’avvocati, e membro del Comitato esecutivo della società. Nel 1991 è eletto Managing Partner dello studio, responsabile della gestione di quasi 200 avvocati e di oltre 225 collaboratori.
Nel 1991, con decreto da Sua Maestà la Regina Elisabetta, Ken Cancellara riceve la nomina a Queen’s Counsel, Avvocato della Regina, in ragione delle notevoli qualità professionali espresse a favore del Governo del Canada e di altri enti. Un anno dopo viene nominato Presidente della società e responsabile della pianificazione strategica dell’azienda. Rimane nella “Cassels Brock”fino al 1996. Attualmente Ken Cancellara opera nello studio legale “Ricketts Harris” di Toronto, dove si occupa dei casi giuridici di maggiore complessità. La sua attività professionale è di portata internazionale. E tuttavia l’attività di Ken non si limita alla sua professione, ma spazia anche nel campo degli affari e nella direzione di aziende industriali. Infatti, sin dal 1996, inizia a collaborare come consulente nella gestione dell’impresa presso il gruppo farmaceutico Biovail Corporation, diventandone poi Presidente del Consiglio di Amministrazione. Sotto il suo mandato la società innova, si espande ed amplia la gamma della produzione, crescendo fortemente di valore fino a quotare i suoi titoli presso il Toronto Stock Exchange, la più importante borsa valori del Canada, e presso lo Stock Exchange di New York, a Wall Street, la più grande borsa del mondo. Nel 2006 Biovial vendeva prodotti farmaceutici in tutto il mondo, diventata la più grande società farmaceutica del Canada, con una capitalizzazione di mercato stimata di oltre dieci miliardi di dollari. Nel 2007 Ken Cancellara lascia la società, che oggi continua a prosperare con il nome di Valeant Pharma, ed è contattato dalla Russia perché verifichi la fattibilità di creare una casa farmaceutica con sede a Mosca e con società partecipate in Europa e Nord America. Sempre per il governo russo si è occupato d’un progetto d’utilizzo delle energie alternative nel settore automotive e nell’industria in generale.
Ma c’era un altro sogno che Kenneth Canio Cancellara coltivava nel segreto, che da anni lo intrigava: scrivere un libro! E così, nei primi mesi del 2009, Ken passa dal desiderio alla scrittura vera e propria. Non realizza, però, un libro qualsiasi. In dieci mesi scrive un romanzo. “Finding Marco” è appunto il titolo del romanzo pubblicato in America. Si tratta di un’autobiografia romanzata, una storia che prende spunto dalle molteplici esperienze personali e professionali, dai ricordi dell’infanzia e della sua terra natale, la Basilicata. E’ questa, in breve, la storia di Kenneth Canio Cancellara, approdato con il suo romanzo anche in Abruzzo, nello splendido borgo di Abbateggio, per raccontare un’altra delle storie di valore dell’emigrazione italiana nel mondo.