La drammatica vicenda delle foibe è un’esplosione di violenza che nasce dal fascismo di confine
del 1919 in un territorio interetnico dall’invasione fascista della Jugoslavia nel 1941 e infine dal
dominio nazista sul Litorale adriatico. In queste circostanze l’uso della violenza, esploso con la
prima guerra mondiale, raggiunge livelli estremi: e in questo scenario si collocano le foibe del 1943
e del 1945 ormai nel pieno della seconda guerra.
È noto il discorso di Mussolini a Pola nel 1920: “Di fronte a una razza inferiore e barbara come la
slava non si deve inseguire la politica che dà lo zuccherino ma quella del bastone”.
L’odio verso gli sloveni scatena aggressioni, incendi, omicidi, violenze d’ogni genere e poi le
sentenze e le condanne per gli antifascisti. L’obiettivo è la totale de-nazionalizzazione della
popolazione slava.
L’invasione della Jugoslavia e l’annessione della provincia di Lubiana al Regno d’Italia rappresenta
una nuova tappa della violenza; dal 1941 in poi si scatena lo “squadrismo di guerra” contro gli
sloveni, i croati, gli antifascisti e la comunità ebraica, con un crescente “furore repressivo” nei
confronti delle popolazioni della Jugoslavia occupata.
In Slovenia durante l’occupazione nazifascista ci furono 4.000 ostaggi fucilati, 1.900 torturati o arsi
vivi, 1.500 morti nel campo di concentramento di Arbe (internati civili e non militari), migliaia di
internati a Gonars e in Veneto.
È tristemente nota l’agghiacciante circolare del generare Roatta di applicare il principio “testa per
dente” imponendo rappresaglie di inaudita violenza in risposta alla disubbidienza slovena e
l’ammonimento del generale Robotti che lamentava: “Si ammazza troppo poco”.
All’occupazione fascista di Lubiana, dopo l’8 settembre ’43, subentra l’occupazione militare
tedesca, ma gli effetti perversi dell’invasione italiana peseranno negli anni successivi.
Di fatto, la complessa, drammatica vicenda del confine orientale è un crogiolo di violenze d’ogni
genere, rancori politici e personali, vendette motivate o immotivate, in un clima da “resa dei
conti” che spiega come mai – assieme alla grande maggioranza di italiani – vi siano state vittime
slovene e anche persone vicine al Comitato di Liberazione Nazionale triestino e goriziano.
Nel fuoco di questa furia è maturato il dramma delle foibe giustamente oggi stigmatizzato alla luce
della ricerca storica, del rispetto per i familiari delle vittime, della più generale tragedia che gli
italiani e gli sloveni vissero in quegli anni, del successivo dramma biblico dell’esodo. Così va
riconosciuta e inquadrata quella tragedia storica, senza proporre una grottesca equiparazione fra
foibe e Shoah, e senza paragoni con crimini come il genocidio o la pulizia etnica.
Ricordare tutto, dunque, non solo è necessario per la verità storica, ma è un dovere per la
formazione civile degli italiani, e per promuovere, oggi più che mai, la democrazia nella Repubblica
nata dalla Resistenza.
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