L’AQUILA – Pubblichiamo qui di seguito un articolo di Antonello Ciccozzi, docente di antropologia culturale all’università dell’Aquila, sulla questione macerie.
Sono passati oltre due anni ed è tutto immobile. A questo punto è chiaro che la ormai surreale vicenda delle macerie del post sisma aquilano è un calderone d’indegnità amministrativa, che contiene e riassume tutta la mistura di questioni che impediscono l’individuazione di soluzioni ottimali per uscire dal terremoto che, nelle sue conseguenze sociali, ancora governa il quotidiano della città, eccole:
– incapacità di progettazione e di coordinamento,
– miopia sulla visione d’insieme e a lungo termine
– immobilismo amministrativo che orienta i processi decisionali più al mantenimento delle cariche che al perseguimenti degli obiettivi
– corruzione generalizzata e sottile, implicita e ormai quasi subcosciente, finalizzata alla speculazione sull’emergenza.
Non m’interessa cadere nella trappola del cavillo, della discussione intorno ai bizantinismi delle ordinanze: in certi momenti è necessario anche distogliere lo sguardo e osservare quanto resta fuori da questa cornice di burocratese imposto. Perciò, se si vuole produrre senso comune, consapevolezza collettiva sulla gravità della vicenda, anzi, dello scandalo delle macerie, devono essere messi in evidenza alcuni punti:
1) Nelle ultime comunicazioni istituzionali si parla ancora di “smaltimento”: da anni ci sono in Europa, negli Stati Uniti, tecnologie consolidate all’avanguardia, presenti anche in Italia, per il recupero dei materiali inerti da demolizione, che vengono riciclati per produrre fondi stradali e altro. In Italia esiste anche un consorzio nazionale. Già per questo è del tutto inammissibile che si giochi una partita ancora intorno al concetto di smaltimento, rinunciando al riciclaggio (e intendo riciclaggio reale, non tanto per dire, per mettere a tacere i dubbi). Riciclare materiale inerte da edilizia significa adottare tecnologie già esistenti, non ci si deve inventare nulla: si dovrebbe chiamare chi lo fa già.
Non solo, “chi lo fa già” da tempo si era offerto, ma inutilmente: diverse ditte italiane che si occupano del recupero inerti si sono proposte spontaneamente per la soluzione del problema, e da due anni vengono puntualmente escluse. Perchè? Perchè si tratta di soldi. Parlando con un titolare di una di queste ditte mi ha detto una cosa: “per noi le macerie sono una risorsa, come le pietre per una cava, abbiamo provato a mettere a disposizione le nostre competenze semplicemente in quanto per noi è un’occasione di lavoro”. Perchè allora le macerie sono un problema? Probabilmente perchè mimetizzando una risorsa in un problema si può ottenere il doppio di profitto: prima risolvendo il problema e poi sfruttando la risorsa. Questo si chiama “speculazione”; e “corruzione” è il nome del processo che consente di costruire questa cornice d’intervento. Se c’è già una strada, e se quella strada non si segue, non ci possono essere giustificazioni. È così difficile?
2) Il penoso scaricabarile sulle responsabilità tra enti locali e istituzioni nazionali a cui da tempo si assiste è uno spettacolo indegno e inaccettabile per questi motivi: non solo fornisce comode scusanti a ciascuna (contro)parte, ma non può essere portato a giustificazione in quanto ogni soggetto in questione non ha presentato un progetto organico, anche uno straccio di pdf di 10-15 pagine, come una tesina per un esame universitario, che individuasse un soggetto attuatore e una strategia di attuazione, luoghi, tempi e costi. In proposito va rilevato un punto: riguardo la questione delle macerie gli amministratori locali si giustificano spesso affermando fatalisticamente che “il Governo ci mette i bastoni fra le ruote”. Ormai è una formula rituale, ben incardinata nel folklore politico aquilano (che mi è stata liturgicamente ripetuta più volte, da diversi soggetti, per la questione delle macerie, e non solo). Sono sicuro che è vero, ma non è il solo problema. A voler seguitare a parlare per metafore, mi viene da dire che i politici aquilani sulla “bicicletta” con questa scusa non ci sono nemmeno saliti, mai. Un po’ per pigrizia, un po’ perché non ci sanno andare, un po’ perché con la scusa del “bastone fra le ruote” possono rimanere fermi a “fare merenda” fra di loro. A questo punto è chiaro che gli servirebbe qualcuno che su quella “bicicletta” gli metta le “rotelle”, questo nella migliore delle ipotesi; oppure che gliela tolga del tutto. La “bicicletta” è faticosa; e limitarsi alla (giusta) lamentela è facile (ma ingiusto nei confronti dei cittadini). Evitando di salire sulla “bicicletta” si possono seguitare a fare gli affarucci clientelari di sempre (e non mi si venga a dire che la politica locale aquilana non si basa su un clientelismo bipartisan dalle fondamenta profonde e nemmeno scalfite dal sisma: è chiaro che “L’Aquiletta”, la cittadella immateriale delle clientele dell’elite amministrativa, è uscita indenne dal terremoto, è tutta agibile e fa ottimi affari). E poi, cari politici aquilani, anche se il problema fosse unicamente quello che avete il Governo contro, allora, accidenti, ribellatevi seriamente! Siamo in un momento drammaticamente epocale, che necessita di azioni forti, di coraggio, non di attaccamento alla poltrona: incatenatevi al Comune, a Montecitorio, o dove volete! Non state ad aspettare le manifestazioni organizzate dai cittadini per mettervi davanti, tradendo i motivi delle proteste in una tavola ben apparecchiata di populismo pre-elettorale da quattro soldi!
Ancora una volta, dopo oltre due anni:
Le uniche cose da smaltire sono una governance orientata all’etetodirezione del processo di ricostruzione, e un’amministrazione locale che riproduce un immobilismo patologico anche quando manifesta il proposito di rinnovarsi con figure che dovrebbero portare cambiamento, ma che invece non fanno altro che ripetere il funereo “immota manet” delle istituzioni locali.
L’unica cosa da fare con le macerie è riciclarle in un impianto che andrebbe pensato e costruito entro tecnologie e know-how già presenti in Italia. Questo per consentire non solo di smaltire quanto è già a terra: bisogna arrivare alla possibilità di demolire per non rattoppare tutto il tessuto edilizio gravemente danneggiato. Andrebbero prodotte tante macerie, tantissime, abbattendo edifici pericolosi, che se “rattoppati” ci restituiranno una città malata, più vulnerabile di prima, maledetta. Avere una visione d’insieme vuol dire comprendere l’interconnessione tra problemi che vanno risolti come elementi interrelati e interagenti dello stesso sistema: riciclaggio delle macerie, abbattimento dei palazzi pericolanti, riduzione della vulnerabilità del luogo sono elementi di un problema unico; possono essere scomponibili, ma le soluzioni non vanno elaborate in modo separato.
Più si demolirà oggi e più domani la città sarà sicura. Perciò va compreso – prima di tutto culturalmente – che le macerie sono un problema prioritario, che condiziona tutta la catena d’intervento, che va inteso dandogli rilevanza massima. Invece dopo due anni siamo ancora con le macerie dei crolli sporadici ai bordi delle strade, dove le erbacce hanno attecchito da due stagioni. Se si vuole dare senso a quanto ci succede le parole vanno usate in modo appropriato; pertanto questa vicenda delle macerie, a questo punto, dopo due anni, va intesa per quello che è: si tratta di uno “scandalo” nell’accezione più piena del termine. E stare ancora a dover leggere di scaricabarili istituzionali e d’alambiccamenti sulle ordinanze racconta un rumore che va ascoltato a distanza per comprenderne il significato. Bisogna spostarsi un attimo dai bordi del cerchio di questo coro di variamente burocratizzata imbecillità: stando oltre quel brusio di piccole intese, oltre quello scricchiolare di poltrone puntellatissime, si comprede il nefasto motto locale, salmodiato nella sua penosa variante amministrativa: “immota manet, immota manet!”. Oggi “immota manet” significa l’usuale immobilismo della politica aquilana e l’assurda immobilità di quelle macerie; materiali e immateriali: i frantumi di un’idea obsoleta di città.
Oltre l’indecenza degli schiamazzi della politica di piccolo cabotaggio, oltre l’indifferenza d’istituzioni nazionali che praticano in città operazioni più finalizzate a massimizzare il profitto di cordate imprenditoriali affiliate al Governo che a ottimizzare la funzione sociale degli interventi, ci sono una pletora di case e palazzi pericolanti da demolire (e quindi di macerie da produrre e che necessitano di essere riciclate). Prima che sia troppo tardi, se si vuole rifondare la città, bisogna decidere se certi discorsi devono entrare a far parte della cultura antropologica del luogo; o se vanno rimossi, per prigrizia, per comodità, per incapacità, per interesse.
Se si seguita così, temo che il prossimo terremoto (l’unica cosa certa, in questa città di dannosi immobilismi ed evanescenti immobilità, l’unica sempre rimossa) farà più vittime di quello del 6 aprile 2009.
Antonello Ciccozzi (docente di Antropologia culturale presso l’Università degli Studi dell’Aquila)
“immota manet”: lo scandalo delle macerie e il terremoto che verrà
L'intervento di Antonello Ciccozzi, antropologo
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