L’AQUILA – Le consistenti precipitazioni nevose e gli episodi valanghivi di questi giorni riportano l’attenzione su un fenomeno spesso trascurato sull’Appennino, ma che in una regione montuosa come l’Abruzzo deve essere tenuto in debito conto e non solo per gli aspetti legati alla pratica dello sci.

Se, infatti, le piste principali degli impianti sciistici regionali sono sostanzialmente monitorate e sufficientemente protette dal pericolo valanghe, altrettanto non si può dire per larga parte del territorio, in specie per i versanti più acclivi al di sopra dei 1000-1200 mslm e soprattutto per le strade provinciali e regionali.

L’Associazione Nazionale Difesa del Suolo – che annovera tra i propri Soci tecnici qualificati ed esperti di settore – ha più volte evidenziato, inascoltata dagli organi preposti, l’esigenza di una Carta Regionale del Rischio Valanghe uno strumento, indispensabile in area montana, di pianificazione territoriale per gli insediamenti antropici, per le infrastrutture, ma anche per la migliore gestione delle aree protette, delle aree turistiche, sia per la pratica sportiva che per l’escursionismo invernali.

Vanno rilevate ed individuate puntualmente tutte le aree a rischio valanghe con criteri omogenei che consentano una corretta individuazione del rischio (dalla pendenza, all’esposizione del pendio, dalla memoria “storica” dei fenomeni nel sito all’altitudine) .
Occorre innanzitutto prevedere un Catasto delle Valanghe con la trascrizione su cartografia in scala degli eventi storici segnalati e osservati sia dal Corpo Forestale che dalle popolazioni. Utile in tal senso le ricerche storiche e le testimonianze reperibili presso i centri montani.

I dati sugli eventi registrati nel passato vanno integrati con una analisi territoriale che individui i versanti a rischio in prossimità di centri abitati, infrastrutture produttive e di comunicazione, di impianti ricettivi e turistico sportivi.

Il tutto va raccolto e sintetizzato in una carta tematica, la Carta Regionale del Rischio Valanghe, appunto, che segnali le zone per livello di rischio e pericolosità, costituendo un utile strumento per la programmazione degli interventi di messa in sicurezza, la pianificazione e lo sviluppo.

Diversamente c’è il rischio, come accade per molti fenomeni di dissesto idrogeologico, che le opere siano realizzate solo dopo l’evento catastrofico, senza una concreta azione di previsione, prevenzione con riduzione programmata dei rischi.

Lo strumento cartografico costituirebbe un utile supporto per valutare i rischi attuali e provvedere ad un piano di messa insicurezza dell’esistente anche attivando fondi comunitari per la sicurezza delle aree montane e dei centri minori.

Non si può consentire un insediamento urbano, tracciare una strada, svolgere un’attività turistica sotto un versante a rischio valanga; e sono molti i siti in Abruzzo nei quali insediamenti e strutture viarie sono stati realizzati nel tempo senza tenere conto del pericolo ogni inverno immanente e della memoria “storia” delle valanghe degli ultimi due secoli.

L’esperienza degli avi ha fatto si che i centri montani siano arroccati in posizione sicura, ma non altrettanto si può dire per le aree di espansione, produttive, le nuove strade, non escluse quelle che collegano i centri turistici invernali e gli impianti di sci.

Se la conosci la eviti; vale anche per la valanga, ma purtroppo non sono mai stati messi in campo studi ed indagini adeguate per la completa conoscenza del territorio montano e dei rischi connaturati alle precipitazioni nevose.

Per non parlare gli interventi di protezione.
Nel passato le opere di forestazione hanno garantito un minimo di protezione ai centri abitati; oggi non si interviene sulla montagna se non sporadicamente, e con modalità diversificate e non sempre adeguate.

In questi giorni è tornato di attualità il rischio valanghe a Lama dei Peligni, già colpita nel 2001 da una slavina che solo grazie alla presenza di un fitto bosco, saggiamente piantumato all’inizio del secolo scorso a protezione dell’abitato, non ha avuto esiti catastrofici sul centro abitato, in particolare sull’area di espansione antropizzata (c’è anche una struttura pubblica) nonostante fosse in evidente area valanghiva.
Sono stati spese diverse centinai di migliaia di euro per un intervento di protezione.
Qualcuno si è preoccupato di verificare l’efficacia dell’intervento ?
La ripiantumazione dell’area boschiva distrutta dalla slavina del 2001 è stata effettuata?
I fermaneve installati “in legno” putrescibile, di durata limitata, che sono stati “imposti” per una presunta tutela ambientale, sono realmente efficaci e quanto dureranno?
Qualcuno ci sa rispondere ? Regione, Parco della Maiella, Comune possono dare una risposta ?
E lo chiediamo preoccupati soprattutto per l’incolumità delle popolazioni che si sentono evidentemente rassicurate dall’intervento di messa in sicurezza della montagna.

Il più efficace, sicuro e duraturo sistema di protezione è costituito oggi dalle reti fermaneve in acciaio, o cannoni a gas che necessitano però dell’intervento attivo dell’uomo, ma spesso, un malinteso protezionismo e vincoli assurdi hanno comportato l’uso di “rastrelliere” in legno, inadeguate e marcescibili.

Non ultimo, debbono crescere le competenze professionali, di tecnici ed imprese, e la stessa Università dovrebbe favorire lo studio dei fenomeni valanghivi e dei rischi in area montana affinché anche in Abruzzo crescano professionisti qualificati e specializzati sulle emergenze in area montana senza dover ricorrere, come spesso accade. alle esperienze maturate in ambito alpino, non riproponibili alle nostre latitudini (non ci possiamo sempre affidare ai “trentini” come se da noi fossero tutti incapaci !!!) .

La messa in sicurezza della montagna costituisce un importante volano per lo sviluppo del territorio socio economico, ( un territorio “sicuro” è di grande attrazione: basti pensare ai giorni di chiusura della SP 479 di Scanno per il rischio valanghe che danni economici e d’immagine sta procurando ) in particolare dei centri montani e dell’economia legata alla pratiche sportive ed al godimento della natura, che favorisca un turismo sempre più esigente che con la qualità dell’ambiente chiede infrastrutture adeguate e protette dai rischi naturali.

Carlo Frutti
Presidente Nazionale dell’A.Di.S.

 

Condivisione.

Registrazione Tribunale dell’Aquila n.560 del 24/11/2006 – PI 01717150666

  • Registrazione Tribunale dell’Aquila n.560 del 24/11/2006 – PI 01717150666
  • Direttore responsabile: Christian De Rosa
  • Editore: Studio Digitale di Cristina Di Stefano
  • Posta elettronica:
  • Indirizzo: Viale Nizza, 10