L’AQUILA- La sensazione è che il censimento sul Cas, il contributo di autonoma sistemazione per i nuclei familiari rimasti senza casa in seguito al sisma, riserverà più d’una sorpresa. E’ bastato, infatti, il solo annuncio, all’inizio, per creare panico tra chi, tra i beneficiari, aveva ed ha la cosiddetta coda di paglia. Perché già all’indomani dell’avvio del censimento, alcune centinaia di famiglie sono andate in Comune per chiedere il trasferimento negli alloggi del Progetto Case, mentre una ventina di nuclei familiari ha rinunciato al contributo tout court, dando l’impressione che l’assessore Pelini ha fatto centro e chi ha agito da furbo beneficiando del contributo senza averne diritto, si trova ora nella condizione di dover restituire i soldi allo Stato, per non parlare del rischio d’incappare in provvedimenti di carattere penale.
Ma se condividiamo in pieno la decisione dell’assessore di dar vita finalmente al censimento di quanti percepiscono il Cas, e sono alcune migliaia con un onere mensile a carico dello Stato che sfiora i 3 milioni e mezzo di euro, ci chiediamo come mai non si sia provveduto prima, mentre siamo sempre più convinti che avessero ragione quanti avevano avanzato forti dubbi circa la concessione del Cas a determinati nuclei familiari che, per dirla in tutta franchezza, potrebbero averci marciato.
Numerose, infatti, le doppie residenze sospette tra moglie e marito, troppi i nuclei familiari divisi soltanto sulla carta, lei in città e lui in paese, ma in realtà conviventi sotto lo stesso tetto. A qualcuno in Comune il dubbio era venuto e aveva messo tutto nero su bianco, facendo nomi e cognomi, solo che quelle note sono rimaste ad ammuffire nei cassetti del palazzo e qualche dirigente è caduto di colpo in disgrazia.
Ma, come si dice, meglio tardi che mai. Una domanda, tuttavia, a Pelini vogliamo rivolgerla, come mai, cioè, si stia facendo oggi quel che poteva essere fatto prima, ad esempio prima delle votazioni amministrative. Perché il dubbio che a prevalere sia stata la ragione elettorale e non altre valutazioni, è molto forte. Vorremmo sbagliarci, ma non lo crediamo.
C’è inoltre una considerazione da fare. Se davvero alcuni dei terremotati del Cas hanno fatto i furbi andandosene a vivere, ad esempio, in un immobile di proprietà sia pure precario per arrotondate il conto corrente coi contributi dello Stato, se tutto ciò è avvenuto, non si configura soltanto una violazione di legge, ma anche un bel po’ di leggerezza da parte di chi doveva vigilare, il che, in parole povere, significa omesso controllo. Se ci sbagliamo, ma non pensiamo, ce lo dica pure assessore Pelini.