L’AQUILA – Mai parallelismo è stato usato in modo più improprio e ingiustificato: la condanna di Galileo Galilei non ha davvero nulla a che vedere con la sentenza che ha giustamente e duramente condannato la Commissione Grandi Rischi per aver – semplificando per necessità di sintesi – rassicurato i cittadini aquilani sul fatto che un terremoto non ci sarebbe stato.
Già il collega Carlo De Matteis ha commentato, su queste pagine, in modo esemplare questa storica e coraggiosa sentenza, stigmatizzando le tendenze giustificazioniste di chi si ostina ad affrontare il problema in modo scorretto e fuorviante.
Nel ricordare quanto sta in questi giorni emergendo dai contenuti delle intercettazioni telefoniche, vorrei sottolineare, in particolare, quanto sia stato fuori luogo il paragone con il processo a Galileo.
Che lo abbia ripreso, poi, un Ministro del Governo – il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini – per commentare una sentenza della Magistratura è ancora più grave, soprattutto quando afferma che «non si può chiedere a tecnici e scienziati di assumersi una responsabilità che dovrebbe essere amministrativa e, in ultima istanza, della politica» e che è cosa «totalmente assurda» attribuire «a una valutazione scientifica un valore ordinativo».
Ancora più sorprendente è, forse, la dichiarazione del nuovo capo della Protezione civile, l’ex-Prefetto dell’Aquila Franco Gabrielli che, nel corso di un’audizione in commissione ambiente alla Camera, ha auspicato l’approvazione in «tempi molto brevi di una norma che tuteli il mondo della scienza», affrontando il tema della «soglia di responsabilità» di chi si occupa di settori «connotati da grande incertezza». Una richiesta, ha sottolineato Gabrielli, per «ricostruire e rigarantire» un rapporto con la comunità scientifica «incrinato» dopo la sentenza dell’Aquila.
Ma è proprio l’idea di una scienza posta sotto tutela da norme o istituti esterni, che ne vaglino e classifichino presunte «soglie di responsabilità», a richiamare il processo a Galileo. Perché è un’idea che rinnega il lungo e travagliato processo di emancipazione della scienza da dogmi e condizionamenti ad essa esterni ed estranei.
Le dinamiche e i conflitti interni alla Commissione Grandi Rischi, tra scienziati, politici e membri della Protezione Civile, che proprio in questi giorni stanno emergendo, dimostrano quanto sia pericoloso condizionare la scienza con categorie politiche e tecnico-amministrative. Non è stata, in fondo, proprio la decisione della Commissione Grandi Rischi – contrariamente a quanto sostiene il Ministro Clini – ad attribuire un «valore ordinativo» ad una «valutazione scientifica»?
L’autonomia della scienza è stata una sofferta conquista della modernità e rappresenta un bene prezioso da salvaguardare, che rimanda ad una questione più generale e di grande rilevanza per ogni «società aperta», relativa alla libertà della ricerca scientifica e alla sua autonoma capacità di darsi delle regole, rifiutando vecchi e nuovi proibizionismi anti-scientifìci e ideologici.
Il paradosso è che ora, a seguito della sentenza sulla Commissione Grandi Rischi, si voglia tornare, con la motivazione di venire in soccorso agli scienziati, a metterli in realtà sotto tutela, condizionandone la loro autonoma libertà ricerca.
Questo sì, che sarebbe un ritorno ai tempi del processo a Galileo!
Ciò non vuol dire che gli scienziati non abbiano e non debbano avere responsabilità. Anzi! Come ha giustamente fatto notare Stefano Rodotà, commentando a caldo proprio la sentenza aquilana, «la scienza non è mai stata un mezzo per sottrarsi alla responsabilità».
La difficoltà – e la bellezza – del mestiere degli scienziati sta proprio in questa assunzione esplicita di responsabilità nel decifrare la complessità del reale e nel trovare le modalità migliori per comunicare alla popolazione le possibili strade da percorrere, in una società che è, e sarà sempre più, caratterizzata dalle categorie del rischio e dell’incertezza.
Ma è proprio da questa consapevolezza scientifica che sono derivati i fondamentali principi di prevenzione e di precauzione oggi acquisiti nella legislazione e nella prassi politico-amministrativa.
Una strada difficile, questa, che richiede competenza, serietà, autonomia di giudizio, ma che deve essere percorsa pienamente e compiutamente, senza “paracaduti” o “uscite di sicurezza”.