L’AQUILA- La Commissione diocesana che sta facendo la ricognizione delle spoglie di Papa Celestino, smentisce la Commissione medica del 1988: il foro trovato nel cranio del Santo sarebbe da ritenersi biologico e non volontario. Si sa invece che secondo un’altra versione dei fatti, che la morte dell’eremita del Morrone sarebbe avvenuta su mandato del suo successore Bonifacio VIII, un’ipotesi anche questa azzardata e ritenuta non plausibile da molti storici. Le due opinioni vengono poste a confronto da Maria Grazia Lopardi, che ha studiato a fondo la vita di Celestino, nella nota che segue.

“Come è stato riferito dalla stampa- afferma la Lopardi- le spoglie di Celestino sono affidate ad una Commissione diocesana-presieduta dall’Arcivescovo dell’Aquila  Monsignor Giuseppe Molinari- che ad un primo sommario esame-si parla di indiscrezione trapelata- ha ritenuto che il buco sul cranio dell’eremita Pietro del Morrone, salito al soglio pontificio con il nome di Celestino V, sarebbe “biologico” , cioè naturale, il che escluderebbe l’ipotesi dell’uccisione violenta.

“CONCLUSIONE POCO CONVINCENTE”

 “Tale conclusione, nonostante l’autorevolezza della Commissione di cui si ignora la composizione, non appare ictu oculi convincente e comunque è in contrasto con quanto affermato dalla Commissione medico-legale formata dal Professore Luigi Gualdi e i dottori Alfonso Torti, Giacomo Crespi, Giovanni Silenzi e Virginio Pensuti che, il 29.8.1888 rilevarono che “nel punto  più sporgente della bozza frontale sinistra, a livello della metà del margine sopraorbitale, distante da esso circa 4 centimetri, esiste un forame rettangolare a margini retti, senza nessuna lesione ossea circostante. Il lato orizzontale del rettangolo misura circa 5 millimetri; l’altro verticale, circa 9 millimetri. Il foro penetrante in cavità, lascia nettamente distinguere i tre strati cranici, tavolato esterno, diploe, tavolato interno. La superficie di frattura è alquanto  più chiara della superficie esterna del cranio”.

“NON FU UNA LESIONE ACCIDENTALE”

 “A seguito di tale esame i periti conclusero che “l’origine della suddetta lesione non possa menomamente essere accidentale, ma sia da dipendere dalla mano dell’uomo col sussidio di un adatto strumento” e che “ nella ipotesi che tale strumento sia un chiodo di forma comune, il tratto di esso penetrato in cavità, abbia a valutarsi di circa 5 centimetri”. Già nel 1700  Don Lelio Marini, Abate generale dell’ordine dei Celestini, nella suo opera “Vita e miracoli di S. Pietro del Morrone già Celestino Papa V”  parla di  (pag. 462) “un buco di forma quadrangolare, che chiaramente appare non naturale ma fatto con un chiodo conficcatoui ,& è di  larghezza quanto potrebbe fare un chiodo ordinario di quegli che in Abruzo fi chiamano brefciani…” Aggiunge l’Abate celestino  che nel 1597 l’Abate Francesco d’Aielli fece rompere il  muro della Cappella intitolata alla Vergine Maria nella chiesa dell’abbadia di S. Spirito presso Sulmona per tirarne fuori una scatola rotonda alta mezzo palmo tutta dipinta e la trovò piena di reliquie tra cui un chiodo lungo mezzo palmo con tracce di sangue, come confermato dai medici Tiberio Monti e Mario Veluce.

“LE MISURE DEL CHIODO ERANO CONFORMI AL BUCO”

“Recatosi a S. Maria di Collemaggio, alla presenza di Bartolomeo Crispo e  “altri nobili e cittadini aquilani”  verificò che le misure del chiodo erano conformi al buco. Lo stesso Lelio Marino afferma di aver visto il chiodo in questione. Singolare è la circostanza che analogo foro si trova in altro cranio illustre, quello di S. Giovanni Battista custodito nella cattedrale di Amiens, il che avvalorerebbe, in alternativa all’ipotesi di uccisione-non da escludere-, quella di un rituale come ho avuto modo di illustrare nei miei scritti.  Le immagini  a confronto dei due crani bucati sono significative e mal si conciliano con il carattere naturale del preciso foro quadrangolare. Sull’ipotesi dell’uccisione lo storico Ludovico Gatto (Ludovico Gatto: Celestino V Pontefice e Santo-ed. Bulzoni) riferisce degli atti del processo a Bonifacio.

“IL PROCESSO CONDANNO’ BONIFACIO

Tali atti del processo conclusosi nel 1311 con sentenza di condanna, rinvenuti da uno storico francese, Jean Coste, da cui il successore di Celestino risulta homicida propter Celestinum. Tali atti vanno valutati con opportuna cautela perché il processo a Bonifacio è stato probabilmente  “costruito”dalle stessi menti (Filippo il Bello e il Nogaret) e  con le stesse modalità di quello ai Templari in cui si è fatto affermare ciò che il sovrano francese gradiva che si dicesse, ma comunque prova che già i contemporanei ipotizzavano una morte violenta di Celestino. Salvo a attendere le conclusioni definitive della Commissione, il mistero del buco in fronte resta dunque ancora irrisolto”.

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Registrazione Tribunale dell’Aquila n.560 del 24/11/2006 – PI 01717150666

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