L’AQUILA – Il Gran Sasso Science Institute vola sul New York Times in memoria delle 311 vittime del terremoto di L’Aquila del 6 Aprile 2009, tra cui 55 studenti universitari. Telescopio Alma scopre uno scrigno di polveri cosmiche nella Supernova 1987A, una fucina interstellare per nuove generazioni di stelle e pianeti, a quasi 168mila anni luce dalla Terra. La SN1987A è la più vicina esplosione di supernova dopo quella osservata da Keplero nella Via Lattea nell’Anno Domini 1604. Si prevede che in pochi milioni di anni altre quattro stelle di classe LBV esploderanno come supernovae nella nostra Galassia. Luminosissimo e con il suo caratteristico colore rosso-arancio, Betelgeuse, l’astro principale della costellazione di Orione è una gigante rossa, molto più massiccia e grande del nostro Sole. Eta Carinae non scherza. Da non confondere con le stelle novae, come la Nova Centauri 2013. Scoperto per la prima volta un sistema solare alieno formato da due nane bianche e una pulsar: le sue caratteristiche ne fanno un test per la Relatività Generale di Einstein e per il principio di equivalenza. Si chiama KOI-314c, si trova a 200 anni luce dalla Terra ed è il più leggero fra tutti i pianeti extrasolari di cui si abbia una misura sia della massa sia delle dimensioni. La sua densità è appena del 30 percento superiore a quella dell’acqua ed è stato scoperto setacciando i dati del telescopio spaziale Kepler a caccia di esolune ed esopianeti simili alla Terra nella Via Lattea. Di 3500 candidati 208 pianeti sono già stati confermati. Ne sono stati scoperti altri cinque, due dei quali sono di gran lunga più grandi della Terra. Gran parte degli esopianeti più piccoli di 1,5 volte il raggio della Terra potrebbero contenere Silicati, Ferro, Nickel e Magnesio, elementi cucinati nelle supernovae ed alla base sei pianeti rocciosi nel nostro Sistema Solare.
(di Nicola Facciolini)
Lux post tenebras. Il supertelescopio ALMA dell’ESO apre l’Anno Domini 2014 con le nuove suggestive osservazioni della famosa Supernova SN1987A, un’autentica fucina interstellare per nuove generazioni di stelle e pianeti. Distante quasi 168mila anni luce dalla Terra, la SN1987A è in realtà quel che resta della totale disintegrazione della stella supergigante blu Sanduleak -69° 202a, una variabile S Doradus di almeno venti masse solari (magnitudine 12) scoperta dall’astronomo americano Nicholas Sanduleak. La SN1987A fu scoperta da Ian Shelton e Oscar Duhalde all’Osservatorio di Las Campanas in Cile il 24 Febbraio 1987 e indipendentemente da Albert Jones in Nuova Zelanda. Si prevede che in pochi milioni di anni altre quattro stelle di classe LBV, tra cui Eta Carinae e Betelgeuse, esploderanno come supernovae nella nostra Galassia, senza gravi conseguenze per la nostra civiltà. Le supernovae non vanno confuse con le stelle novae, come la Nova Centauri 2013. Il 2 Dicembre 2013 si è verificata l’esplosione di una stella nova. L’evento è stato visibile a occhio nudo nel Sud del mondo e gli effetti sono ancora evidenti nel cielo notturno australe, come rivela l’immagine di Rolf Wahl Olsen, scattata dalla Nuova Zelanda, che mostra la Nova Centauri 2013 e il suo insolito colore rosa. La stella è il risultato dell’esplosione termonucleare dell’Idrogeno sulla superficie di una nana bianca. È stata scoperta nella costellazione di Centauro dal “cacciatore” di novae John Seach il 2 Dicembre, grazie alla sua DSLR “patrol camera”, quando l’astro aveva già raggiunto la magnitudine 5.5; tuttavia l’immagine suggestiva rosa è stata scattata il 28 Dicembre dai cieli di Auckland in Nuova Zelanda, quando la nova brillava di magnitudine 4.5, dal fuoco 4 di un telescopio Serrurier Truss Newtonian di 12.5 pollici. “La nova appare rosa – rivela Olsen – perché stiamo osservando la luce da un guscio in espansione di Idrogeno ionizzato che emette fortemente sia la parte rossa sia blu dello spettro ottico. Queste emissioni danno alla stella il forte colore rosato, simile alle nebulose ad emissione che sono anche prevalentemente rosa/magenta”. Una stella nova è sempre il risultato di un’esplosione termonucleare sulla superficie di una nana bianca in un sistema solare binario stretto. A differenza di una supernova, durante la cui esplosione tutta la stella viene disintegrata, magari trasformandosi in un astro di neutroni o in buco nero, una nova non comporta la distruzione della stella ospite. Ma l’onda di energia in espansione può aver distrutto ogni forma di vita aliena in quel lontano sistema e nei vicini violentemente irradiati, chissà forse per centinaia di anni luce dal “ground zero”, prefigurando scenari fantascientifici degni di Capitan Harlock! La nana bianca, gravitazionalmente più forte, la cui materia pesa moltissimo, continua a strappare Idrogeno dalla sua stella compagna e il processo può ripetersi in futuro, generalmente nel giro di pochi o centinaia di migliaia di anni. La Nova Centauri 2013, come si evince dalla curva di luce preliminare dell’American Association of Variable Star Observers (AAVSO) acquisita sulla base di osservazioni astrofisiche, potrebbe aver raggiunto il suo picco massimo di splendore (3.5) il giorno 15 Dicembre. Salita a magnitudine 3.6 il 5 Dicembre per poi scendere alla nova grandezza il giorno 9 poco prima di riaccendersi di nuovo, il 27 Dicembre la nova era ancora visibile a occhio nudo brillando di magnitudine 4.4 nell’emisfero australe. Invisibile dalle regioni boreali della Terra, la Nova Centauri 2013 è esplosa nella costellazione celeste del Centauro, ad ovest delle stelle Alpha e Beta Centauri, vicina alla Croce del Sud, il simbolo dello European Southern Observatory. Le novae, si sa, sono astri imprevedibili. Nel caso fosse esplosa a poche centinaia di anni luce dalla Terra, non saremmo certamente qui a descriverla! John Seach non aveva notato nulla di così brillante nella stessa fetta di cielo ripresa il 16 Novembre all’undicesima magnitudine limite. Steven Graham dalla Nuova Zelanda, cercandola tra le sue immagini, nota la comparsa della nova tra il 1° e il 2 Dicembre. Ernesto Guido, Nick Howes e Martino Nicolini, grazie al loro telescopio di 20 pollici, in remoto, immortalano la “nuova” stella di magnitudine 4.7/4.6 acquisendo lo spettro che mostra le chiare linee alfa e beta ad emissione dell’Idrogeno, tipiche delle stelle novae. Alle ore 7:37 italiane del 4 Dicembre 2013 Sebastian Otero dall’Argentina conferma una magnitudo 4.3 per la Nova del Centauro. Chiaramente molto più brillante della boreale Nova Delphini 2013 di Ferragosto, l’evento più seguito in assoluto. Gli astronomi hanno già puntato tutti i telescopi spaziali e terrestri disponibili. Secondo alcuni l’astro potrebbe non essere molto più vicino di quanto si pensi. Il che lascerebbe supporre la probabile presenza di una stella progenitrice di almeno magnitudine 15 sicuramente alla portata dei grandi telescopi dell’ESO in Cile. La designazione preliminare della “nuova” stella è PNV J13544700-5909080 (designazione GCVS, V1369 Cen, IAUC 9265) prima della conferma ufficiale da parte della comunità astronomica mondiale come Nova Centauri 2013. Ulteriori osservazioni si rendono necessarie per stabilire la distanza esatta dall’esplosione termonucleare, in genere superiore ai 9mila anni luce. La grande sensibilità del telescopio Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, ha consentito di catturare per la prima volta i resti della supernova SN1987A ricca di polveri appena formate. Se una quantità sufficiente di queste riuscisse felicemente a completare il rischioso viaggio interstellare, potrebbe spiegare come molte galassie abbiano acquisito il loro aspetto scuro e polveroso. I sistemi stellari, infatti, possono essere luoghi decisamente polverosi e si pensa che le supernovae siano una delle principali fonti di questa polvere soprattutto nell’Universo primordiale. La polvere cosmica è formata da grani di silicati e grafite, minerali abbondanti anche sulla Terra. La fuliggine di candela e la tipica colorazione “nero siderale” di iPad, iPhone e iPod Touch della Apple Inc. è molto simile alla polvere di grafite cosmica, anche se la dimensione dei grani è dieci o più volte maggiore di quella tipica dei grani di grafite cosmici. Finora le dimostrazioni dirette della possibilità di produrre polvere da parte delle supernovae sono state poche. Non erano in grado di giustificare le abbondanti quantità di polvere osservate nelle galassie giovani e distanti. Ma ora le osservazioni di Alma possono decisamente rivoluzionare la comprensione del fenomeno. “Abbiamo trovato una massa di polvere incredibilmente grande concentrata nella zona centrale del materiale espulso da una supernova relativamente giovane e vicina – rivela Remy Indebetouw, astronomo all’Osservatorio Nazionale di Radio Astronomia ed all’Università della Virgina, a Charlottesville (Usa) – è la prima volta che siamo in grado di produrre un’immagine della zona in cui si forma la polvere, è un passo importante per comprendere l’evoluzione delle galassie”. Il lavoro è stato presentato nell’articolo “Dust Production and Particle Acceleration in Supernova 1987A Revealed with ALMA”, di R. Indebetouw et al., per la rivista Astrophysical Journal Letters. L’equipe è composta da R. Indebetouw (National Radio Astronomy Observatory (NRAO); University of Virginia, Charlottesville, USA), M. Matsuura (University College London, Regno Unito [UCL]), E. Dwek (NASA Goddard Space Flight Center, Greenbelt, USA), G. Zanardo (International Centre for Radio Astronomy Research, University of Western Australia, Crawley, Australia [ICRAR]), M.J. Barlow (UCL), M. Baes (Sterrenkundig Obst Gent, Gent, Belgio), P. Bouchet (CEA-Saclay, Gif-sur-Yvette, Francia), D.N. Burrows (The Pennsylvania State University, University Park, USA), R. Chevalier (University of Virginia, Charlottesville, USA), G.C. Clayton (Louisiana State University, Baton Rouge,USA), C. Fransson (Stockholm University, Svezia), B. Gaensler (Australian Research Council Centre of Excellence for All-sky Astrophysics [CAASTRO]; Sydney Institute for Astronomy, The University of Sydney, Australia), R. Kirshner (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, Cambridge, USA), M.Lakicevic (Lennard-Jones Laboratories, Keele University, Regno Unito), K.S. Long (Space Telescope Science Institute, Baltimore, USA [STScI]), P. Lundqvist (Stockholm University, Svezia), I. Martí-Vidal (Chalmers University of Technology, Onsala Space Observatory, Onsala, Svezia), J. Marcaide (Universidad de Valencia, Burjassot, Spagna), R. McCray (University of Colorado at Boulder, USA), M. Meixner (STScI; The Johns Hopkins University, Baltimore, USA), C.-Y. Ng (The University of Hong Kong, Hong Kong), S. Park (University of Texas at Arlington, Arlington, USA), G. Sonneborn (STScI), L. Staveley-Smith (ICRAR; CAASTRO), C. Vlahakis (Joint ALMA Observatory/European Southern Observatory, Santiago, Cile) e J. van Loon (Lennard-Jones Laboratories, Keele University, Regno Unito). Il team internazionale di astronomi, grazie al telescopio Alma, ha osservato i resti incandescenti della Supernova 1987A che si trova a 167.885 anni luce nella Grande Nube di Magellano, una galassia nana in orbita attorno alla nostra Via Lattea. La SN1987A è la più vicina esplosione di supernova dopo quella osservata da Keplero nella Via Lattea nell’Anno Domini 1604. Si spiega così perché le supernovae siano in così forte ritardo, almeno dal nostro umile punto di vista terrestre. Gli astronomi hanno previsto che quando il gas si raffredda dopo l’esplosione termonucleare stellare, si formano grandi quantità di polvere poiché gli atomi di Ossigeno, Carbonio e Silicio si legano tra loro nelle regioni interne e fredde del resto di supernova. Finora le osservazioni di SN1987A con i telescopi infrarossi, effettuate nei primi 500 giorni dopo l’evento del 23 Febbraio 1987, avevano rivelato solo una piccola quantità di polvere calda. Con la risoluzione e la sensibilità senza precedenti di Alma, l’equipe di ricerca dell’Eso è riuscita ad ottenere le immagini più dettagliate di sempre della polvere fredda molto più abbondante, che risplende debolmente nelle bande millimetrica e sub-millimetrica visibili dal telescopio. Gli astronomi stimano che il resto di supernova ora contenga una quantità di polvere appena formata pari a circa il 25 percento della massa del Sole, con notevoli quantità di Monossido di Carbonio e Silicio. “SN1987A è un luogo speciale – spiega Indebetouw – poiché la supernova non si è mescolata ancora con l’ambiente circostante e perciò quello che vediamo si è formato lì: i nuovi risultati di Alma, i primi nel loro genere, rivelano un resto di supernova pieno zeppo di materiale che semplicemente non c’era qualche decina di anni fa”. Le supernovae possono creare ma anche distruggere i grani di polvere. Quando l’onda d’urto dell’immensa esplosione iniziale venne irradiata nello spazio, produsse brillanti anelli di materiale incandescente, visibili sulla Terra dalla fine degli Anni Novanta del secolo scorso, effettivamente osservati dal Telescopio Spaziale Hubble della Nasa/Esa. Dopo aver colpito il guscio di gas espulso dalla stella progenitrice verso la fine della propria vita, una parte di questa imponente emissione di massa radioattiva (nichel-56, colbalto-56, ferro-56, titanio-44 insieme a tutti gli altri elementi) rimbalzò verso il centro del resto di supernova dove si riteneva potesse trovarsi una stella di neutroni o un buco nero. “A un certo punto quest’onda d’urto di ritorno andrà a schiantarsi sui grumi fluttuanti di polvere appena formata – osserva Indebetouw – è probabile che una frazione di questa polvere venga spazzata via: è difficile prevedere esattamente quanta, forse solo poca, probabilmente metà o due terzi”. Se una buona parte della polvere riuscirà a sopravvivere per raggiungere lo spazio interstellare, potrebbe spiegare le grandi quantità di polvere rivelate nell’Universo primordiale e il “ritardo” nell’osservazione terrestre delle supernovae galattiche. “Le prime galassie sono davvero incredibilmente polverose e questa polvere svolge un ruolo importante nella loro evoluzione – fa notare Mikako Matsuura dell’University College di Londra – oggi sappiamo che la polvere può essere creata in diversi modi, ma nell’Universo primordiale la maggior parte doveva provenire dalle supernovae. Abbiamo finalmente trovato una prova diretta a sostegno di questa teoria grazie ad Alma”. L’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array è un Osservatorio astronomico internazionale, frutto della collaborazione fra l’Europa, il Nord America e l’Asia Orientale, in cooperazione con la Repubblica del Cile. In Europa, Alma è finanziato dall’ESO, in Nord America dalla U.S. National Science Foundation in cooperazione con il National Research Council del Canada e il National Science Council di Taiwan e in Asia Orientale dagli Istituti Nazionali di Scienze Naturali del Giappone in cooperazione con l’Accademia Sinica di Taiwan. La costruzione e la gestione di Alma sono condotte dall’ESO per conto dell’Europa, dall’Osservatorio Nazionale di Radio Astronomia gestito dalle Associated Universities Inc. per conto del Nord America e dall’Osservatorio Astronomico Nazionale del Giappone per conto dell’Asia Orientale. L’Osservatorio congiunto di Alma (Joint ALMA Observatory) fornisce la guida unitaria e la gestione della costruzione, del commissioning e delle operazioni del telescopio. La Supernova 1987A, di tipo II, è esplosa nella Grande Nube di Magellano, una galassia satellite della Via Lattea, ad una distanza dalla Terra di circa 51.400 parsec. È stata la supernova più vicina ad essere stata osservata dal 1604, dopo l’invenzione del telescopio di Galileo Galilei. La luce della supernova raggiunse la Terra il 23 Febbraio 1987. Poiché era la prima supernova scoperta in quell’anno, fu chiamata 1987A. La sua luminosità raggiunse il massimo in Maggio con una magnitudine apparente di circa 2.9, poi scese lentamente nei mesi seguenti. Fu la prima occasione per gli astronomi moderni di osservare una supernova relativamente vicina. L’evento cosmico in realtà si verificò 168mila anni fa. Circa tre ore prima che la luce visibile dalla SN1987A raggiungesse la Terra, un flusso di neutrini fu osservato simultaneamente in tre diversi rivelatori costruiti per studiare il fenomeno dei neutrini solari mancanti. Il numero totale dei neutrini interstellari raccolti fu limitato: 24 elusive particelle da supernova in totale, delle quali 11 antineutrini da Kamiokande II, 8 antineutrini da IMB e 5 neutrini da Baksan. Fu il più forte incremento notevole di sempre rispetto al livello di fondo osservato prima e dopo la SN1987A. Fu la prima storica “cattura” di neutrini emessi da una supernova. I primi ad essere osservati direttamente da un cataclisma cosmico, pienamente coerenti con i modelli teorici di supernova dove la maggior parte dell’energia da collasso nucleare viene dispersa nello spazio sotto forma di 10 elevato alla 58ma potenza di neutrini, pari a 10 elevato alla 46ma potenza di joules. Quando ancora non c’erano gli esperimenti del Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn, fondato dal professor Antonino Zichichi nel 1979, attivo solo subito dopo l’evento. Astrofisici e fisici delle astroparticelle rimpiansero che non fossero state comunque realizzate due particolari misurazioni: in primis lo spettro di energia dei neutrini avrebbe potuto essere misurato se si fossero usati migliori sensori per neutrini. Inoltre, se gli orologi dei rivelatori fossero stati sincronizzati, si sarebbe potuto determinare se i neutrini viaggiavano alla velocità della luce come particelle prive di massa ovvero più lentamente come particelle dotate di massa. Sfortunatamente solo il rivelatore di uno dei laboratori era sincronizzato con un orologio atomico e quindi fu impossibile eseguire questa misura. L’analisi delle energie e dei tempi di arrivo degli eventi osservati permise di studiare le caratteristiche dell’emissione di antineutrini e di ottenere dei limiti sulla massa del neutrino. L’analisi sulla stella esplosa in SN1987A richiese una revisione dei modelli di evoluzione stellare per astri di grande massa. Che in precedenza suggerivano come le supernovae scaturissero sempre da supergiganti rosse. Il resto di supernova formato dai detriti radioattivi della SN1987A, è uno degli oggetti astronomici più studiati dai telescopi spaziali e terrestri. Alcuni scienziati pensano che al suo interno si sia formata una stella di quark! L’European Southern Observatory è la principale organizzazione intergovernativa di Astronomia in Europa e l’Osservatorio astronomico più produttivo al mondo. È sostenuto da 15 Paesi: Austria, Belgio, Brasile, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Svezia, e Svizzera. L’ESO svolge un ambizioso programma che si concentra sulla progettazione, costruzione e gestione di potenti strumenti astronomici da terra per consentire agli astronomi di realizzare importanti scoperte scientifiche in regime di perfette condizioni atmosferiche e climatiche, lontani dall’inquinamento luminoso delle città. L’ESO ha anche un ruolo di punta nel promuovere e organizzare la cooperazione nella ricerca astronomica per gli Stati Uniti d’Europa. Gestisce tre siti osservativi unici al mondo in Cile: La Silla, Paranal e Chajnantor. Sul Paranal, l’ESO gestisce il Very Large Telescope, l’Osservatorio astronomico d’avanguardia nella banda visibile e due telescopi per survey, ottimi per la scoperta di esopianeti alieni simili alla Terra. VISTA, il più grande telescopio per survey al mondo, lavora nella banda infrarossa mentre il VST (VLT Survey Telescope) è il più grande telescopio progettato appositamente per produrre survey del cielo in luce visibile. L’ESO è il partner europeo di un telescopio astronomico di concetto rivoluzionario, ALMA, il più grande progetto astronomico esistente. Al momento l’ESO sta progettando l’European Extremely Large Telescope (E-ELT), il Telescopio Europeo Estremamente Grande, da 39 metri di diametro ottico, che dagli Anni Venti del XXI Secolo opererà nell’ottico e infrarosso vicino, come “il più grande occhio del mondo rivolto al cielo”. Mentre il Gran Sasso Science Institute vola sul New York Times in memoria delle 311 vittime del terremoto di L’Aquila del 6 Aprile 2009, tra cui 55 studenti universitari. In un’intervista rilasciata al celebre giornale americano, il Professor Eugenio Coccia, già Direttore del Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn, la più grande struttura scientifica sotterranea al mondo per le ricerche astro-particellari, rievoca quei drammatici giorni, soprattutto il timore che al collasso di dozzine di edifici dove perirono centinaia di persone seguisse la drammatica e definitiva fine della Città di L’Aquila e il collasso del Laboratorio Infn di ricerca subnucleare più importante sulla Terra per lo studio dei neutrini. Ma la devastazione culturale fu scongiurata grazie alla Società della Conoscenza che rinacque dalle ceneri della tragedia aquilana, più fiera e più coraggiosa di sempre, per aiutare gli Aquilani a risorgere come comunità. In quello stesso giorno del 6 Aprile 2009, il prof. Coccia insieme ai suoi colleghi reinventò L’Aquila, adottando una strategia culturale, pensata negli Anni Settanta del XX Secolo, volta alla fondazione in Abruzzo di qualcosa di molto simile all’International School for Advanced Studies di Trieste, sancta sanctorum dell’insegnamento scientifico e tecnologico in Italia, ben prima dell’Istituto Italiano di Tecnologia (www.iit.it) di Genova. In effetti la Regione Friuli-Venezia Giulia utilizzò parte dei fondi della ricostruzione seguita al terremoto devastante delle ore 21 del 6 Maggio 1976 (magnitudo 6.4) per realizzare il prestigioso istituto scientifico che aiutò a trasformare Trieste in un polo ricerca e innovazione mondiale capace di attrarre i cervelli. L’Aquila aveva bisogno di qualcosa di simile, per attrarre insegnanti e studenti da tutto il mondo e così rivitalizzare la Capitale della Regione Abruzzo. La Scienza avrebbe fatto ciò che certa politica non avrebbe mai osato sperare. Così, quattro anni e mezzo dopo il terremoto del 6 Aprile, nel Novembre 2013 a L’Aquila è stato inaugurato il Gran Sasso Science Institute (G.S.S.I., www.gssi.infn.it) per gli studi avanzati e di dottorato. Nelle Scienze fisiche e matematiche ma anche in quelle sociologiche. Perché è importante saper comunicare la Scienza e la Tecnologia ai cittadini, agli imprenditori, ai politici, agli investitori. L’Aquila può finalmente risorgere grazie alla felice intuizione del prof. Eugenio Coccia e colleghi. Certamente senza il terremoto, il processo sarebbe stato più lungo e complesso, o forse “sarebbe stato semplicemente impossibile”, come osserva il prof. Coccia, oggi Direttore del Gran Sasso Science Institute, il cui Quartier Generale è situato non in periferia ma in un restaurato palazzo aquilano all’interno delle mura della Città. “Questa è la nostra migliore risposta alla naturale catastrofe sismica” – fa notare il prof. Coccia. Tra i suoi illustri docenti il Premio Nobel Carlo Rubbia, Senatore a vita della Repubblica Italiana. Selezionata dalla Organization for Economic Cooperation and Development che riunisce le maggiori democrazie di libero mercato al mondo, tra i molti progetti ideati per il rilancio della Città di L’Aquila, la Scuola Gran Sasso Science Institute è finanziata sia dal Governo italiano sia dall’Unione Europea. È una delle cinque Scuole per studi avanzati, dove si parla regolarmente l’Inglese, che opererà nei prossimi tre anni con la supervisione dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Dopo questo primo periodo di “prova” garantito dal suo budget preliminare, nell’Anno Domini 2016 il Gran Sasso Science Institute dovrà superare formalmente tutta una serie di test per la valutazione nazionale e internazionale, da parte del sistema universitario italiano e delle maggiori agenzie scientifiche mondiali. Al fine di determinare e decidere scientificamente il suo futuro e quello dell’Abruzzo nel mondo della ricerca. La Scuola offre corsi interdisciplinari in fisica, matematica, informatica e scienze sociali. Nel suo primo anno di attività che vede impegnati 36 studenti di dottorato, 14 dei quali esteri, la Scuola G.S.S.I. offre dalla Città di L’Aquila due esclusivi vantaggi: il collegamento diretto al Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn, il famoso Polo scientifico incastonato nelle radici del Re degli Appennini, impreziosito da innumerevoli esperimenti sul Neutrino e sulla Materia Oscura (la Dark Matter della corazzata Arcadia!) dove gli studenti possono lavorare e insegnare; e la sua naturale sede in una Città storica, la Capitale dell’Abruzzo, che oggi è essa stessa un immenso esperimento sociale, architettonico e tecnologico d’avanguardia a cielo aperto, per sopravvivere al sisma del 6 Aprile ed a tutti gli altri futuri scossoni naturali e politici. Nella Scienza, la Politica faccia soltanto il suo dovere, insieme alla Giustizia! Gli studenti e i docenti di tutto il mondo ci osservano molto attentamente. Gli Aquilani hanno bisogno di poter credere in un futuro migliore insieme a tutti gli Abruzzesi. Pena la desertificazione totale dell’Italia sempre più povera, ben prima del naturale arrivo delle dune sabbiose e delle fiere africane. Il curriculum scientifico della Città di L’Aquila e le sue condizioni di vita, a sentire gli studenti della Scuola, sono molto entusiasmanti. La vicinanza del Laboratorio Nazionale del Gran Sasso è un autentico successo: uno scrigno di tesori per le sue capacità di attrazione scientifica e tecnologica. Si lavora insieme. Si insegna insieme. Per risolvere problemi. È una grande opportunità di crescita sociale, economica e professionale. Le lezioni della Scuola e il lavoro al Laboratorio Infn sono perfettamente integrati. I cittadini attendono “con viva e vibrante soddisfazione” i primi risultati visibili e concreti della Scuola, necessariamente annessi e connessi alla ricostruzione della Città di L’Aquila, del suo tessuto urbano, architettonico, sociale, culturale, economico e religioso. Grandi sono pertanto le aspettative in mano ai docenti ed agli studenti del Gran Sasso Science Institute. I frammenti del passato si mescolano alle speranze del futuro. La Città di notte spaventa gli studenti nel suo status di perenne “attesa”, ma anche affascina. Perché bisogna risorgere. Le vie deserte di L’Aquila torneranno a vivere grazie alla Scienza nella misura in cui sarà chiaro dove andare, quale rotta intraprendere. Non necessariamente alla Capitan Harlock! Perché oggi ogni punto della Città sarà il Centro storico per il futuro e non più un vuoto guscio polveroso di macerie fumanti. La Città medievale sposa la Gioventù europea migliore, i futuri Aquilani. La struttura di ricerca è un’installazione civile, non militare. L’Aquila non è la Striscia di Gaza. Le mafie forse la desiderano tale, ma la Scienza ha decretato un fato decisamente migliore. La Scuola G.S.S.I. è il nuovo vero terremoto sociale! Bar, ristoranti, negozi, uffici stanno riaprendo in Città. Per rigenerare il tessuto cittadino ferito ci vorrà tempo ma le aspettative dei giovani ricercatori non debbono essere disattese. È l’opportunità della loro vita per aprire nuove imprese hi-tech sul nostro territorio abruzzese, per invertire il drammatico processo della fuga dei cervelli formati in Italia con i soldi pubblici dei contribuenti europei per altri definitivi lidi. Il mondo osserva anche i nostri politici nei minimi particolari con la medesima risoluzione spaziotemporale degli esperimenti in corso d’opera sotto il Gran Sasso. Il prestigio dei nostri docenti, scienziati e ricercatori non può più essere infangato dalla mediocrità. Non ce lo possiamo più permettere! Amici scienziati vicini e lontani, sappiate che siamo con voi e saremo sempre con voi per la crescita vera dell’Abruzzo migliore nel pieno rispetto delle regole ambientali, sociali e psicologiche. Se E.T. scendesse sulla Terra, farebbe certamente visita prima alla Scuola ed al LNGS/INFN, soltanto in un secondo momento alle altre istituzioni! Ne conosciamo le ragioni. La matematica è il linguaggio universale. Non il politichese. Guardate, non tutti credono alla Scuola, alla sua sopravvivenza nel nostro territorio. Ma alcuni scienziati dubitano fortemente sul suo successo. Con i politici sempre pronti a ghermire l’ambita preda. Prevalga la verità e il buonsenso. E soprattutto l’amore verso il futuro e il presente dei giovani. La Scuola è una seria svolta, un grande cambiamento strategico e tattico, ma sarebbe folle altresì dubitare della perplessità nella comunità scientifica internazionale. Occorrono i risultati. I successi. I Premi Nobel. Cioè, la vittoria della Società della Conoscenza. L’Italia, grazie anche alla conferma della scoperta del Bosone di Higgs in Lhc al Cern di Ginevra, ha saputo per l’ennesima volta riconfermare il suo assoluto prestigio mondiale nella Fisica delle particelle elementari, ottenendo seppur indirettamente l’ambito Premio ma soprattutto il riconoscimento di un vantaggio tattico unico nel suo genere: la formazione d’eccellenza in Scuole e Laboratori di primissimo livello. L’industria però ancora non decolla. Qui è la Politica l’assoluta responsabile. Non gli scienziati. I politici eletti che debbono assumersi le proprie responsabilità personali. Con tutti i benefici del dubbio, non occorre distruggere il Senato della Repubblica o il bicameralismo perfetto parlamentare, per insediare nuove imprese hi-tech sul territorio abruzzese, per difendere i nostri brevetti, le nostre invenzioni, i nostri piccoli e grandi inventori artigianali di ieri, oggi e domani, per accelerare la crescita del Pil anziché affossarlo con le tasse e le bollette. Grazie anche alla Scuola G.S.S.I., la reputazione degli Abruzzesi oggi è alle stelle. Questo pensano gli studenti e i docenti della prestigiosa Istituzione aquilana. Perché dalla “collaborazione competitiva” con il Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn e l’Università di L’Aquila, possano giungere, grazie al totalmente inatteso, le più grandi scoperte e invenzioni, senza timore di “programmati” incidenti o rapimenti in terra straniera, magari ad opera di fantomatici E.T.! Il M.I.T. e Harvard ne sono pienamente consapevoli. E ci osservano. Dunque, proteggiamo il nostro Tesoro più prezioso. La Verità. Capace di attrarre cervelli da tutto il mondo. Gli scettici non ci credono? Eppure anche nel più secco deserto del mondo, magari “inondato” di Dark Matter, può spuntare la magica piantina tanto cara al capitano Harlock del geniale Leiji Matsumoto. Per cogliere l’infinita bellezza del cambiamento di una vita mediocre che si rigenera dalla ceneri di una Città e di una Regione che hanno bisogno di risorgere! Gli scienziati offrano presto i risultati delle ricerche di base. La Cultura è anche Economia. Per risolvere i problemi delle persone. L’Istituto Italiano di Tecnologia, lo ha capito. Gli Aquilani vogliono tornare a vivere nelle loro case crollate. La Tecnologia offra loro delle risposte immediate credibili ed efficaci. Nient’altro? La conoscenza del territorio e il rispetto delle regole. Siamo nel XXI Secolo, non nel Medioevo. Abbiamo bisogno di politici e professori giovani, magari conservatori nei valori fondamentali, ma innovatori in tutto il resto. È terrificante incontrare chi predica il contrario per salvaguardare il collasso finale. Al Gran Sasso Institute, si ricostruisce L’Aquila e l’intero Abruzzo, grazie alla Società della Conoscenza capace di mandare a casa gli obsoleti politicanti di sempre. Il 7 Gennaio del 1610 Galileo Galilei scopre le quattro lune di Giove grazie a un nuovo strumento, il telescopio. I satelliti vengono battezzati nel ‘600 con i nomi di alcune figure mitologiche legate a Giove: Io, Europa, Ganimede e Callisto. Autentiche miniere a cielo aperto che solo la liberalizzazione dell’impresa spaziale mineraria privata potrà finalmente consegnare all’umanità con la sua pletora di benefici ambientali per la Terra. Dopo le missioni automatiche, burocratiche e infinite delle agenzie pubbliche. L’esperimento di Galilei di certo era più semplice. Bastavano due biglie e una torre, quella di Pisa. Nell’esperimento naturale sulla gravità scovato a 4200 anni luce dalla Terra, da Scott Ransom e colleghi del National Radio Astronomy Observatory, gli elementi sono sempre tre, ma si tratta di oggetti un po’ più complicati delle biglie: due nane bianche e una stella di neutroni ultradensa. Fatta di Supermateria. “Questo sistema triplo ci fornisce il miglior laboratorio cosmico naturale mai trovato per studiare come funzionano questi sistemi e per scoprire potenziali problemi della Relatività Generale che i fisici si aspettano di osservare in condizioni estreme” – rivela Ransom. Grazie al Green Bank Telescope di proprietà della National Science Foundation, il gruppo di Ransom ha inizialmente individuato la stella di neutroni grazie alla sua emissione radio, quella tipica di una pulsar millisecondo: ruotando su se stessa all’altissima velocità di quasi 366 volte al secondo, la stella emette un segnale radio rivolto verso la Terra a ogni rotazione con straordinaria regolarità. In seguito, i ricercatori hanno scoperto che la pulsar ruota attorno a una nana bianca e che entrambe orbitano attorno a una seconda nana bianca più distante. Battezzato PSR J033711715 e descritto sulle pagine di Nature, è il primo sistema triplo di questo tipo scoperto dai tempi di Galilei: l’unico simile che comprenda una pulsar, PSR B1620-26, ha come terzo corpo un pianeta, i cui effetti gravitazionali sono molto più deboli. In questo caso, invece, il gioco di attrazione e perturbazione reciproca fra i tre corpi mette in gioco forze abbastanza potenti da permettere agli scienziati di studiare la natura stessa della Gravità vera. Non quella del film fantastico Gravity! Così misurando accuratamente gli intervalli tra gli impulsi radio della pulsar, i ricercatori sono riusciti a calcolrare la geometria del sistema e le masse dei tre corpi con grande precisione, arrivando a una risoluzione dell’ordine delle centinaia di metri. I ricercatori hanno formulato un’ipotesi sull’evoluzione del sistema solare alieno. A partire da un gruppo di astri legati gravitazionalmente, il più grande è prima esploso formando una supernova e creando poi la stella di neutroni. Due delle sue stelle compagne sono sopravvissute all’esplosione e dopo circa un miliardo di anni la più esterna e più massiccia ha iniziato a trasferire massa alla binaria interna che comprendeva la stella di neutroni e una stella di piccola massa. Dopo un altro miliardo di anni, la stella più esterna è diventata una nana bianca, e quella più interna ha iniziato a sua volta a cedere massa alla stelle di neutroni, facendo la stessa fine ed alimentando la rotazione sempre più veloce della pulsar. Il sistema può permettere di misurare con una precisione finora mai raggiunta il principio di equivalenza, secondo il quale l’effetto della gravità su un corpo non dipende dalla sua natura o struttura interna. Quello che voleva dimostrare Galilei facendo cadere due biglie diverse dalla Torre di Pisa e mostrando che toccano terra assieme. Esperimento ripetuto sulla Luna dagli astronauti della Nasa. Quando una stella di grande massa esplode e i suoi resti danno luogo a una stella di neutroni che è un oggetto super compatto, una parte della sua massa è convertita nell’energia gravitazionale che tiene assieme la stella. Secondo la versione forte del principio di equivalenza, quell’energia deve continuare a comportarsi, da un punto di vista gravitazionale, come la massa da cui deriva. Ma secondo tutte le teorie alternative alla Relatività Generale questo non dovrebbe succedere. Applicato al sistema solare alieno ternario, questo significa che l’effetto gravitazionale della nana bianca più esterna dovrebbe farsi sentire allo stesso modo per l’altra nana bianca e per la stella di neutroni. Se invece il principio di equivalenza non vale, i due effetti sarebbero leggermente diversi e la differenza si dovrebbe poter misurare dagli impulsi della pulsar. Gli esoastronomi oggigiorno sono al lavoro anche su altri rompicapi cosmici. Non si lo può certo dire adatto per la vita, con quei 104 gradi Celsius di temperatura. Ma se, com’è vero, esiste l’Inferno anche per gli Extraterrestri, per la morte non lo batte nessuno: se mai c’è un esomondo, nella Galassia, in cui la terra può davvero essere lieve è proprio il soffice KOI-314c. È la leggerissima sorpresa che gli scienziati dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics hanno consegnato al mondo da Washington in occasione del 223esimo Convegno dell’American Astronomical Society. La sua massa è più o meno pari a quella della Terra, ma il diametro è di circa il 60 percento più grande. Ciò significa che la sua densità è straordinariamente bassa, per essere un pianeta così piccolo: appena il 30 percento superiore a quella dell’acqua. Cifre che lasciano supporre si tratti d’un mondo avvolto da una spessa atmosfera d’Idrogeno ed Elio. Centinaia di chilometri, calcolano gli scienziati, suggerendo che in origine potesse trattarsi d’una sorta di Nettuno in miniatura, privato poi nel corso del tempo di buona parte dell’atmosfera, evaporata a causa della radiazione proveniente dalla stella madre. Remota e contrassegnata dal prefisso KOI (Kepler Object of Interest) che contraddistingue i corpi celesti individuati dal telescopio spaziale Kepler, il cacciatore di esopianeti della Nasa passato a miglior vita nel Maggio 2013, e dal numero progressivo 314. L’astro KOI-314 è una tenue nana rossa distante 200 anni luce dalla Terra, raggiungibile alla velocità della luce in poche settimane! Ad orbitarle attorno, oltre al nostro campione di leggerezza che compie la sua rivoluzione in 23 giorni, c’è anche un altro pianeta, KOI-314b, più o meno grande come il fratello ma decisamente più denso: la sua massa è pari a 4 volte quella della Terra. È la presenza di questo massiccio esomondo, il cui periodo orbitale è di 13 giorni, ad aver reso possibile la scoperta e la misurazione di KOI-314c. Scoperta è del tutto inattesa poiché l’obiettivo primario della ricerca erano le sue esolune aliene. Stile Pandora! Ricordate il kolossal Avatar di James Cameron, l’esploratore-regista degli abissi che ha raccomandato la visione del film Capitan Harlock in 3D? “Le variazioni del tempo di transito mostravano chiaramente che si trattava di un secondo pianeta e non di una luna – osserva David Kipping, primo autore dell’articolo che descrive la scoperta sulla rivista The Astrophysical Journal – all’inizio, quando abbiamo capito che non era un’esoluna, è stata una delusione. Poi però ci siamo resi conto d’essere davanti a una misura straordinaria”. Già, perché calcolare il diametro di un pianeta, per quanto sia piccolo, è abbastanza semplice, soprattutto disponendo di dati della qualità di quelli raccolti da Kepler: basta misurare più volte la diminuzione di luminosità provocata dal suo passaggio innanzi alla stella madre. Calcolarne la massa, però, è tutta un’altra storia. Infatti richiede che venga misurata l’ampiezza delle oscillazioni della stella madre indotte dalla gravità dell’esopianeta. Oscillazioni impercettibili con un pianeta leggero come KOI-314c. Il detentore del precedente record di leggerezza misurata, Kepler-78b, pesa il 70 percento in più della Terra. La misura della massa di KOI-314c è stata compiuta seguendo un sistema analogo ma non identico, possibile solo quando c’è almeno un altro corpo in orbita attorno alla stella: la tecnica delle variazioni del tempo di transito (TTV). Quella a cui fa riferimento Kipping: variazioni introdotte dalla perturbazione gravitazionale esercitata, in modo reciproco, dai due pianeti l’uno sull’altro. Abbiamo già superato la fantascienza! “Invece di cercarle in una stella, cerchiamo le oscillazioni in un pianeta” – spiega il secondo autore della ricerca, David Nesvorny, del Southwest Research Institute. Un metodo molto recente, la prima misura di successo risale al 2010, è quello delle variazioni del tempo di transito. Irrinunciabile nella caccia alle esolune, in questo caso ha consentito di risalire con buona precisione alla massa dei due esopianeti. Trovare esomondi simili alla Terra nelle sperdute lande della nostra Galassia (almeno 40 milioni di pianeti, secondo le stime meno ottimistiche) non è semplice. Kepler attualmente ha all’attivo 208 pianeti scoperti e confermati. E più di 3500 candidati. La missione spaziale della Nasa, nel suo bilancio dopo quattro anni di attività e di scoperte, è stata un successo. Più di tre quarti degli esopianeti candidati scoperti dalla sonda Kepler, hanno dimensioni che variano da quelle simili alla Terra a quelle di Nettuno che è quattro volte più grande del nostro mondo azzurro. La sfida degli astronomi è determinare se si tratti di pianeti rocciosi come la Terra, gassosi o fatti di acqua e se la gran parte degli esomondi delle dimensioni della Terra siano rocciosi come il nostro. Di recente Kepler ha scoperto 5 nuovi esopianeti rocciosi dal 10 all’80 percento più grandi della Terra. Due di questi, già ribattezzati Kepler-99b e Kepler-406b, hanno dimensioni maggiori del 40 percento rispetto al nostro pianeta e una densità simile a quella del piombo. I pianeti alieni completano un’orbita (anno) attorno alla loro stella madre rispettivamente in meno di cinque e tre giorni e ciò li rende altamente inospitali per la vita, così come oggi la intendiamo, perché estremamente caldi. Una fase importante delle ultime osservazioni di Kepler è stata quella delle misurazioni Doppler delle stelle che ospitano i pianeti candidati. Il team di ricercatori ha misurato l’oscillazione del riflesso degli astri, causata dalla forza gravitazionale del pianeta orbitante. In questo modo è stato possibile misurare la massa del pianeta: maggiore è la forza gravitazionale sulla stella, maggiore è la sua massa e quindi maggiore è l’oscillazione. I ricercatori hanno utilizzato i telescopi terrestri del Keck Observatory alle Isole Hawaii (Usa) per confermare 41 degli esopianeti scoperti da Kepler e calcolare la massa di altri 16 esomondi. Con una serie di dati in mano, tra cui massa e diametro, gli scienziati possono immediatamente determinare la densità del pianeta e specificare se si tratti di corpi rocciosi, gassosi o anche un misto di entrambi, com’è già accaduto in passato. Le misurazioni hanno confermato che i mini-Nettuno hanno un nucleo roccioso, ma le proporzioni di Idrogeno, Elio ed altre molecole ricche di Idrogeno cambiano velocemente negli strati più superficiali. Altri, invece, non hanno neanche strati protettivi attorno al nucleo. Una tecnica complementare utilizzata per determinare la massa e della densità di un pianeta è quella delle variazioni temporanee di transito. Con una forza gravitazionale simile a quella di un pianeta con la sua stella, i pianeti limitrofi possono attrarre altri corpi provocandone l’accelerazione e la decelerazione lungo la loro orbita. Ji-Wei Xie dell’Università di Toronto ha usato proprio questo metodo per confermare l’esistenza di 15 coppie di esopianeti alieni. La ricercatrice ha misurato la massa di 30 esomondi dalle dimensioni comprese tra quelle della Terra e di Nettuno. I risultati degli studi con il metodo Doppler e con il metodo TTV confermerebbero che gran parte degli esopianeti più piccoli di 1,5 volte il raggio della Terra potrebbero contenere Silicati, Ferro, Nickel e Magnesio, elementi cucinati nelle supernovae ed alla base sei pianeti rocciosi nel nostro Sistema Solare. Con queste informazioni gli scienziati potranno calcolare e individuare il numero di stelle che possono ospitare questo tipo di esopianeti potenzialmente ospitali. Sulla Terra, le onde sismiche prodotte dai terremoti forniscono un metodo di indagine indiretta sulla struttura delle parti più profonde del nostro mondo. Allo stesso modo, gli effetti di “stellemoti” osservati su astri di neutroni dotati di fortissimo campo magnetico, le cosiddette Magnetar, possono far luce sulla loro assai più esotica composizione di Supermateria. Quella, per intendersi, di Superman (Man of Steel). Le stelle di neutroni rappresentano un laboratorio naturale ideale per comprendere come la materia si comporti in condizioni estreme. Stadio evolutivo finale di stelle massicce che esauriscono il loro combustibile, le stelle di neutroni sono il densissimo residuo conseguente all’esplosione dell’astro in supernova. Sono le stelle più compatte che si conoscano: concentrando una massa paragonabile a quella del Sole in una sfera di pochi chilometri di diametro, possiedono i campi magnetici più forti di sempre. Che sono all’origine delle loro emissioni elettromagnetiche: regolarissimi impulsi Radio per le ben note Pulsar; i lampi ricorrenti di raggi X e Gamma per le Magnetar. Mentre la struttura della crosta solida esterna è più conoscibile, lo stato della materia all’interno delle stelle di neutroni è ancora oggetto di speculazione ed esistono varie teorie a proposito. Una ricerca pubblicata su Physical Review Letters (“Imprints of Superfluidity on Magnetoelastic Quasiperiodic Oscillations of Soft Gamma-Ray Repeaters”, di Michael Gabler, Pablo Cerdá-Durán, Nikolaos Stergioulas, José A.Font e Ewald Müller) avvalla l’ipotesi che l’interno liquido di queste stelle, composto principalmente da neutroni assieme a qualche protone ed elettrone, si trovi in uno stato superfluido, in cui non esiste viscosità e in cui il fluido possiede conduttività termica infinita. Sulla Terra, lo stato superfluido può essere osservato solamente a temperature estremamente basse in pochissime sostanze, di cui la più conosciuta è l’Elio liquido. Per il totale risparmio energetico in bolletta! Per arrivare a questo risultato, un gruppo composto da ricercatori dell’Istituto tedesco Max Planck per l’Astronomia dell’Università di Valencia e dell’Università di Salonicco, ha preso in considerazione due giganteschi lampi provenienti da Magnetar osservati in passato. Queste emissioni in raggi gamma di bassa energia scaturiscono da oscillazioni magneto-elastiche della stella di neutroni (stellemoti) che si verificano presumibilmente quando la crosta esterna si spacca e sprofonda nello strato interno. Durante questi eventi, l’emissione in raggi gamma viene modulata in differenti frequenze che, come in un sismogramma, vengono usate dai ricercatori per capire com’è fatto l’interno del corpo in cui si sono generate. Il gruppo di ricerca ha sviluppato un nuovo modello numerico per descrivere il comportamento della Magnetar, trovando che lo stato superfluido del nucleo della stella di neutroni è la condizione necessaria affinché le simulazioni delle oscillazioni magneto-elastiche coincidano con l’intero spettro di frequenze osservate. Luminosissimo e con il suo caratteristico colore rosso-arancio, Betelgeuse, l’astro principale della costellazione di Orione è una gigante rossa, molto più massiccia e grande del nostro Sole. Ma anche Eta Carinae non scherza. Le più grandi scoperte giungono dal totalmente inatteso.
© Nicola Facciolini