Non ho avuto segnali ha detto Massimo Cialente la sera drammatica delle dimissioni, nessuno mi ha detto di restare, mi sono ritrovato solo e ho capito che dovevo lasciare. Non c’era con lui, nello studio affollato della sede comunale, nessuno di quelli che contano. Pure Stefania Pezzopane, senatrice neorenziana, si è tenuta lontana da quella drammatica riunione. Lei che con Cialente (e Giovanni Lolli) si era divisa battaglie importanti per la città e il partito. Un’assenza eloquente, segno che s’era rotto ormai l’antico sodalizio, una frattura del resto già consumata dai tempi delle primarie. Lei da una parte con Renzi, lui dall’altra sull’antica barricata, una scelta di coerenza che gli aveva fatto onore.
Ma soprattutto a Cialente non sono arrivati i segnali che lui ha ritenuto sempre più importanti, i segnali dalla città, quella città che lo aveva rieletto sindaco con una maggioranza indiscutibile. Dov’erano finiti gli aquilani che lo avevano votato? I Comitati vocianti erano in Piazza Duomo e gridavano ‘dimettiamolo’. Gli altri, tutti gli altri non erano con lui, né potevano esserci, frastornati, delusi per quanto accaduto nelle stanze del Palazzo all’indomani del sisma. C’era stato un sondaggio di Datamonitor, qualche mese fa, che aveva assegnato a Cialente il 58 per cento del gradimento degli aquilani ponendolo ai massimi livelli tra i sindaci in Italia. Che fine aveva fatto quel consenso?
Ecco, la vicenda delle tangenti del terremoto, inqualificabile e indegna per una città che ha vissuto la tragedia di 309 persone rimaste sotto le macerie, questa storia assurda di raggiri e mazzette ha finito per rompere in maniera irreparabile il legame tra il sindaco e la città.
S’è detto e scritto a ragione che Cialente è stato forse l’unico sindaco in Italia a uscire di scena senza aver avuto un avviso di garanzia. Ma a travolgerlo è stata la responsabilità politica, l’aver lasciato sia pure inconsapevolmente, che si tramasse alle sue spalle e alle spalle degli aquilani. E quando poi se n’è reso conto, era ormai troppo tardi e nessun sostegno gli è arrivato perché tutti erano contro di lui.
Ora ci aspettano le elezioni. Il 25 maggio è alle porte e andremo alle urne con tre schede: per le europee, le regionali e le comunali. I partiti sono mobilitati e già c’è stata qualche riunione come quella di domenica dei gruppi di maggioranza. La richiesta che sale dalla città è di un rinnovamento totale della classe dirigente, aria fresca, persone nuove e soprattutto non compromesse. Ma a questa domanda come si risponde? Facendo circolare i soliti nomi, a destra e a sinistra. E’ sconsolante. Sarebbe questa, ci chiediamo, la voglia per rinnovarsi? La scelta di cambiamento per ricostruire la città terremotata? E’ sbalorditivo dover prendere atto di quanto tosta sia la faccia dei nostri politici a ogni livello. Speriamo solo di sbagliarci, di aver capito male, ma le premesse indicano il contrario.