Tira una brutta aria sulla ricostruzione, ancora una volta, e all’orizzonte si prospettano ritardi biblici e penalizzazioni per l’intero comparto economico locale.
Mentre è notizia fresca che l’USRA, non propriamente un fulmine di guerra nelle approvazioni delle schede parametriche, resta orfano di Paolo Aielli, si prosegue sulla strada della legge che dovrebbe “riorganizzare” la ricostruzione in modo piuttosto preoccupante.
Nel primo caso sembra facile prevedere uno scontro al vertice per la sostituzione di un Capo dell’Ufficio Speciale che, anche se non sempre condiviso, ha garantito una certa operatività, e questo non può che provocare perdite di tempo che si andranno a sommare alla solita, scontata, fase successiva: quella dell’insediamento, della conoscenza degli uffici e tanti altri alibi che provocheranno il procrastinarsi degli già interminabili iter di approvazione delle schede parametriche.
Il secondo, più grave, caso, quello della legge sulla ricostruzione, se condotto così come prospettato (non è dato conoscerne i contenuti prima se non per le solite vie traverse più o meno attendibili) invocando i soliti ipocriti totem della legalità e della trasparenza, produrrà effetti decisamente nefasti per l’area cratere.
In primo luogo la trasformazione di fatto in appalto pubblico provocherà l’annullamento di tutti gli affidamenti diretti già stabiliti dalle assemblee ma non contrattualizzati, evenienza che non garantirà i proprietari dalla rivalsa in sede legale della ditta già incaricata.
Si passerà quindi presumibilmente a stilare un “avviso di bando pubblico tipo” (chi lo deciderà?) e, dalla successiva fase di pubblicazione, si dovranno attendere 40 giorni al termine dei quali circa 300 – 350 aziende (è questa la media di partecipazione su tutto il territorio nazionale alle gare pubbliche) risponderanno ad ogni singolo aggregato o condominio.
A quel punto le assemblee dei proprietari, assumendosene la responsabilità, decideranno qual è l’impresa in base a parametri che, oggi, nemmeno gli esperti degli uffici tecnici della Pubblica Amministrazione riescono a governare a pieno, quindi si passerà alla scontata, successiva fase degli accessi agli atti, dei ricorsi degli esclusi e dell’intervento dell’Autorità che sarà deputata a dirimere queste vicende, il che comporterà (media nazionale) altri 3 o 4 mesi di tempo.
A quel punto si potrà procedere, se non ci sono ulteriori appelli di eventuali parti recessive dopo i ricorsi, agli incarichi votati in assemblea e quindi, dopo un tempo stimato tra i 12 e i 18 mesi, tornare esattamente al punto in cui ci si trova oggi.
Ovviamente in tutto questo percorso, che richiede parametri oggettivi e dimensioni aziendali considerevoli (che non hanno MAI garantito per questo la certezza della qualità dei lavori) le aziende locali, anche le più grandi, risulteranno quasi sempre escluse dovendo poi assumere il ruolo di subappaltatori.
Sarà inoltre impossibile per imprese più piccole (fino a 10/15 dipendenti, quelle che caratterizzano di più l’imprenditoria locale) accedere ai subappalti perché, come prospettato, anche queste dovranno possedere delle SOA che hanno spesso un costo insostenibile per realtà così ridotte che possono però vantare decenni di presenza sul mercato locale.
Nel testo non sembra nemmeno prospettarsi all’orizzonte una indispensabile forma di tutela dei pagamenti per tutta la filiera, a partire dai tempi certi per i versamenti alle imprese capofila, passando per le liquidazioni dei subappaltatori e giù fino al controllo dell’effettivo saldo dei debiti delle imprese verso i fornitori (spesso locali) che sono il vero e per ora unico sostegno all’economia del territorio.
Come al solito tutto questo sta avvenendo a scapito di un comprensorio martoriato ma non esente da colpe perché non sembra in grado, nemmeno adesso, di darsi una classe dirigente che pretenda rispetto e un’autentica partecipazione ai processi decisionali.
Velleità personali ed ego smisurati fanno da sempre bella mostra di se stessi con affermazioni e dichiarazioni talmente ampie da non consentire mai una messa a fuoco dei problemi che, così, da anni, sono ben lungi dall’essere risolti e vanno a sommarsi con altri che, a cinque anni e mezzo dalla catastrofe, ci fanno apparire più come un peso morto che come un’occasione di riscatto per il nostro intero Paese.
*Segretario Generale Apindustria