L’AQUILA – “L’Aquila porta nella sua fisionomia sociale e urbana i segni di una distruzione che ha subito a causa di un sisma terribile che l’ha colpita sei anni fa”. Sappiamo, afferma mons. Giuseppe Petrocchi, arcivescovo de L’Aquila, alla Radio Vaticana in uno speciale dedicato al sesto anniversario del terremoto del 6 aprile 2009 che provocò la morte di 309 persone, che Gesù, il Verbo che si è fatto carne, entrando nella storia ha assunto su di sé ogni condizione umana. Tutta la sofferenza che percorre il viaggio dell’umanità nel tempo, è fatta propria dal Figlio di Dio ed è riscattata, resa sorgente di vita”. “Dunque anche le ferite che L’ Aquila porta ben impresse nel suo tessuto architettonico, ma anche nel suo vissuto comunitario, tutto ciò che porta il segno di una sofferenza, è già parte viva della Croce di Cristo e quindi proiettata verso la risurrezione. È importante avvicinare il dramma che questa città ha vissuto con queste certezze che derivano dal Vangelo”.
L’Aquila non ha bisogno solo di una ricostruzione muraria
“Non bastano le opere che riedificano i suoi monumenti e il suo tessuto storico, i suoi edifici. Restituire a L’Aquila questa sua reintegrazione di tipo architettonico non è sufficiente per far rivivere la città: la città deve risorgere. Questo evento è anzitutto spirituale e, proprio per questo, ha poi anche una ricaduta umana. Anche l’anima di questa città ha subito frammentazioni e lacerazioni; basti pensare che abitudini consolidate sono state interrotte. Ancora oggi, circa 15mila abitanti sono fuori dalle loro case. Si può immaginare lo sconvolgimento che queste nuove condizioni hanno provocato”.
Serve una Risurrezione spirituale della comunità aquilana
“Bisogna ridare vita a questa comunità, anzi cogliere proprio dalla sofferenza che l’ha provata, la fonte per una pienezza maggiore, perché risorgere non significa soltanto ritornare alla situazione antecedente ad un dramma che si è vissuto, significa recuperare nella grazia di Dio una pienezza impensabile, inedita. Dico sempre che L’Aquila che verrà, se saprà risorgere nell’incontro con il Signore, sarà più bella e più capace di esprimere i valori cristiani e umani rispetto a L’Aquila che è stata”. “Noi, continua mons. Petrocchi alla Radio Vaticana, chiediamo al Signore Gesù non soltanto che si possano ricucire gli strappi provocati dal terremoto, non solo che le sofferenze provocate dalla morte di 309 persone possono esser aperte alla consolazione: chiediamo al Signore Gesù che da questa Croce collettiva e personale possa scaturire un’interezza ed una profondità che meravigliano e che possano davvero fare de L’Aquila una città posta sul monte”.
Le sofferenze vanno rispettate. Non si possono azzerare
“Vorrei sottolineare un’altra cosa proprio nella dimensione pasquale, conclude l’arcivescovo de L’Aquila, mons. Petrocchi: spesso abbiamo, anche in buona fede, una sorta di volontà non sempre opportuna di anestetizzare il dolore, ma ci sono delle sofferenze che vanno rispettate che non possono essere azzerate. Non è vero che il tempo finisce per cancellare ogni ferita: c’è anche un diritto di soffrire e quindi c’è un dovere di rispettare questa sofferenza”. “Una mamma che ha persona un figlio, un figlio che perde i genitori, un fratello che vede distrutta una famiglia, porta dentro di sé una sofferenza che può essere illuminata e redenta, quindi restituita ad un significato vero, solo dall’incontro con Gesù, il Crocifisso Risorto”.