L’AQUILA – In Abruzzo un anziano su tre ricoverato per più di una settimana oltre il dovuto perché in casa nessuno lo assiste. È quanto emerge da un’indagine Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri.
Il fenomeno rappresenta un costo extra di 31milioni di euro, inteso come il peso che ricade indebitamente sulla sanità pubblica a causa delle carenze del sistema di assistenza sociale, ma anche dei servizi territoriali sanitari poco attrezzati alla presa in carico di questi pazienti. All’origine, rileva lo studio, c’è nell’87,5% dei casi il fatto che gli anziani abruzzesi non hanno nessun familiare o badante in grado di assisterli in casa, mentre per il 6,2%% non c’è possibilità di entrare in una Rsa. La survey indica che dalla data di dimissioni indicata dal medico a quella effettiva di uscita in Abruzzo un terzo degli anziani ricoverati passa oltre una settimana più del dovuto in ospedale, da 5 a 7 giorni in un altro terzo di casi, mentre la restante quota sosta dai due ai quattro giorni in più. Nei reparti di medicina – ma il discorso non cambia di molto negli altri – gli over 80 sono oltre la metà nel 66,7% delle strutture, mentre nel restante 33,3% la loro quota va dal 40 al 50%.
Non si pensi però – afferma Fadoi – alle medicine interne come a dei parcheggi per anziani soli. Quelli che vengono ricoverati sono infatti pazienti complessi, che in tre casi su quattro richiedono comunque oltre sette giorni di degenza per essere adeguatamente trattati, tanto da necessitare di un’alta intensità di cura nel 66,7% dei casi, media per il 33,3%. Numeri che “dovrebbero far riflettere circa la classificazione delle medicine interne come reparti a bassa intensità di cura.
Il problema è che quando lo stesso medico da disposizione affinché il paziente venga dimesso, mai quella data corrisponde con quella effettiva delle dimissioni. Si stima che in Abruzzo le giornate di ricovero inappropriate siano circa 44mila. All’origine del fenomeno, rileva sempre Fadoi, c’è un mix tra deficit di assistenza sociale e di mancata presa in carico da parte di servizi e strutture sanitarie territoriali. “Le difficoltà che incontriamo a dimettere i nostri pazienti anziani – afferma il presidente Fadoi Abruzzo, Angela Falco – sono dettate dai problemi in ambito familiare, dove si fa sempre più fatica a individuare un caregiver che possa farsene carico. Una delle problematiche più rilevanti è poi la carenza di posti letto nelle Rsa rispetto alla popolazione anziana. Ciò comporta un prolungamento delle degenze nel reparto di minimo 7 giorni. Un’altra criticità è rappresentata non solo dalla mancanza di un adeguato caregiver a domicilio, ma dalla difficoltà ad addestrarli per evitare reingressi”. Una via d’uscita, però, può essere “l’ospedale di Comunità previsto dal Dm 77 per assistere chi può essere dimesso ma non può essere lasciato a casa senza assistenza”.
Ogni anno si contano oltre 2 milioni di giornate di degenza improprie per la difficoltà a dimettere gli anziani soli. È il peso che ricade indebitamente sulla sanità pubblica a causa delle carenze del sistema di assistenza sociale, ma anche dei servizi territoriali sanitari poco attrezzati alla presa in carico di questi pazienti. Una survey condotta in 98 strutture da Fadoi, la società scientifica di medicina interna, indica che dalla data di dimissioni indicata dal medico a quella effettiva di uscita passa oltre una settimana nel 26,5% dei casi, da 5 a 7 giorni nel 39,8% dei pazienti, mentre un altro 28,6% sosta dai due ai quattro giorni più del dovuto.
Il 75,5% dei pazienti anziani rimane impropriamente in ospedale perché non ha nessun familiare o badante in grado di assisterli in casa, mentre per il 49% non c’è possibilità di entrare in una Rsa. Il 64,3% protrae il ricovero oltre il necessario perché non ci sono strutture sanitarie intermedie nel territorio mentre il 22,4% ha difficoltà ad attivare l’Adi. E il tutto ha un costo per il Ssn di circa un miliardo e mezzo l’anno. La metà dei ricoveri riguarda pazienti over 70 e in oltre il 50% dei casi restano in reparto circa una settimana in più del necessario, visto che non hanno un familiare che possa assisterli o risorse per una casa di risposo. Per non parlare del fatto che nella gran parte dei casi mancano strutture sanitare intermedie nel territorio, e che in un caso su quattro si ha difficoltà ad attivare l’Adi, l’assistenza domiciliare integrata. Considerando che i ricoveri nei reparti di medicina interna sono circa un milione l’anno e che almeno la metà di questi sono di over 70.
E tenendo poi conto che ben più del 50% di questi prolunga mediamente di una settimana il ricovero oltre le necessità sanitarie, in tutto sarebbero 2,1 milioni le giornate di degenza in eccesso. Un numero che influisce non poco sull’intasamento degli ospedali e che considerando il costo medio di una giornata di degenza, pari a 712 euro secondo i dati Ocse, fanno in totale un miliardo e mezzo l’anno di spesa che si sarebbe potuto investire in vera assistenza sanitaria. Nei reparti di Medicina Interna – ma il discorso non cambia di molto anche negli altri – gli over 70 sono oltre la metà nell’87,8% delle strutture. Molti anche gli ultraottantenni, che sono oltre la metà nel 17,3% delle strutture, tra il 40 e il 50% nel 20,4% dei casi, tra il 30 e 40% nel 24,5% dei reparti. Non si pensi però alle medicine interne come a dei parcheggi per anziani soli. Quelli che vengono ricoverati sono infatti pazienti complessi, che nell’80,6% dei casi richiedono comunque oltre sette giorni di degenza per essere adeguatamente trattati, tanto da necessitare di un’alta intensità di cura nel 28,6% dei casi, media per il 69,4%.
Il problema, come riposta l’Ansa, è che quando lo stesso medico da disposizione affinché il paziente venga dimesso, mai quella data corrisponde con quella effettiva delle dimissioni. Queste infatti si protraggono per oltre una settimana nel 26,5% dei casi, da 5 a 7 giorni nel 39,8% dei pazienti, mentre un altro 28,6% sosta dai due ai quattro giorni più del dovuto. “Tocchiamo con mano quotidianamente la necessità di farsi carico di problematiche sociali che finiscono per pesare indebitamente sugli ospedali e sui reparti di medicina interna in particolare”, commenta Francesco Dentali, che dal primo gennaio è diventato il nuovo Presidente della Fadoi. Per il presidente uscente di Fadoi, Dario Manfellotto, “le ricette come le Case della Comunità e gli ospedali di Comunità sono vecchie. Sono modelli che abbiamo già definito e sperimentato ma che spesso non funzionano e lo abbiamo visto per esempio col Covid. Erano presenti da anni anche in alcuni piani sanitari regionali, come quello del Lazio ad esempio. E non mi sembra che lì dove erano presenti le Case della salute vi sia stata una maggiore capacità di fronteggiare per esempio la pandemia”.